Maxi sequestro a Messina Denaro | Sigilli a beni per 38 milioni di euro - Live Sicilia

Maxi sequestro a Messina Denaro | Sigilli a beni per 38 milioni di euro

Alcuni dei beni immobili sequestrati a Messina Denaro

Il provvedimento è stato emesso dal tribunale di Trapani, su richiesta della Dda di Palermo. E tra le pieghe dell'indagine spunta il paradosso: lo Stato risarcì con due milioni di euro la moglie di un affiliato al clan. Guarda il video

TRAPANI – Quando li arrestarono, nel 2011, erano degli insospettabili imprenditori. C’era chi aveva fatto fortuna nel Nord Italia e persino chi godeva dell’aiuto che lo Stato garantisce alle vittime della mafia. Poi si capì che si trattava, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, di mafiosi del clan di Campobello di Mazara. Mandamento di Castelvetrano. Oggi le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, dei carabinieri del comando provinciale di Trapani e del Ros li piazzano nella fitta rete di prestanome a disposizione del latitante Matteo Messina Denaro.

Il Tribunale ha sequestrato beni per 38 milioni di euro fra aziende, immobili e rapporti bancari. Le indagini sono partite dalla Sicilia per arrivare fino a Milano, Varese e Trieste. Il sequestro colpisce Filippo Greco, Simone Mangiaracina e Vito Signorello, considerati affiliati al clan mafioso, e gli imprenditori Antonino Francesco Tancredi e Antonino Moceri. Nel dicembre di due anni fa i loro nomi saltarono fuori nell’inchiesta denominata Campus Belli che fece emergere i contrasti fra Leonardo Bonafede e Francesco Luppino. Quest’ultimo, forte dell’appoggio del latitante di Castelvetrano, aveva deciso di scalzare Bonafede dal vertice della famiglia di Campobello di Mazara. Nonostante i contrasti i due schieramenti andavano d’amore e d’accordo quando c’era da fare affari.

Gli appalti pubblici e il settore olivicolo erano fra i più remunerativi per Messina Denaro e compagni. In particolare, Bonafede fin dai primi anni Novanta avrebbe intestato fittiziamente a Tancredi e Moceri gli oleifici della Moceri Antonino & C. e dell’Eurofarida srl per evitare che lo Stato glieli sequestrasse in vista della sua condanna per mafia. Le stesse aziende negli anni sarebbero diventate dei contenitori dove trasferire capitali illeciti. Il vantaggio era duplice: da un lato si riciclavano fiumi di denaro sporco e dall’altro le aziende potevano mostrare di avere tutte le garanzie necessarie per ottenere finanziamenti pubblici. E i soldi ottenuti servivano pure per commissionare lavori all’imprenditore edile Rosario Cascio, storicamente al servizio di Messina Denaro.

L’inchiesta ha svelato pure una beffa per lo Stato. Fra gli uomini a disposizione del clan di Messina Denaro ci sarebbe anche Cataldo La Rosa. La moglie aveva ottenuto due milioni di euro. Le era stato riconosciuto, infatti, lo status di vittima della mafia visto che il fratello Salvatore Stallone erano stato assassinato negli anni Ottanta. Uno status che il ministero dell’Interno le ha revocato e sono iniziate le procedure per recuperare i due milioni di euro. Nel frattempo, il Tribunale ha confiscato ai prestanome di Messina Denaro beni per 38 milioni di euro. Oltre ai due oleifici ci sono pure 181 immobili, tra cui ville e appartamenti, venti macchine, una quarantina di rapporti bancari anche in Svizzera e una sfilza di polizze assicurative.


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