PALERMO – La (non) decisione era già nell’aria. Il gup di Palermo Piergiorgio Morosini, ha disposto alcune integrazioni probatorie prima di decidere se l’indagine sulla trattativa Stato-mafia diverrà un processo. Intanto è stata stralciata la posizione di uno degli imputati, l’ex ministro democristiano Calogero Mannino, che sarà giudicato col rito abbreviato a partire dal prossimo 20 marzo.
Mannino è accusato – così come Dell’Utri, i militari De Donno, Mori e Subranni, i boss Riina, Provenzano, Brusca, Bagarella, Cinà – di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Dai documenti depositati oggi, secondo la Procura, si desumerebbe che Mannino avrebbe dato input a Subranni di avviare una trattativa con Cosa nostra. Il nome dell’ex ministro, infatti, era contenuto nelle note riservate degli obiettivi che la mafia aveva messo nel mirino dopo la sentenza della Cassazione che confermava l’impianto del maxi processo e quindi gli ergastoli per tutti i capimafia. Si tratta di verbali di interrogatorio degli stessi Mannino e Subranni risalenti al ’94-’95, stilati nell’ambito dell’inchiesta per concorso esterno contro l’ex ministro democristiano.
Prosegue, dunque, l’udienza preliminare che vedrà salire sul banco dei testimoni anche l’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro, ex capo della polizia – oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio – oggetto di calunnia da parte di Massimo Ciancimino, imputato nello stesso procedimento di concorso esterno in associazione mafiosa e, appunto, di calunnia.
Al “superpoliziotto” seguiranno due collaboratori di giustizia. Il primo è Giovanni Brusca. Il “boia” di Capaci ha reso più volte dichiarazioni, non sempre coerenti, a proposito dei contatti istituzionali che Riina avrebbe intrattenuto nella prima fase della trattativa. Brusca ha tirato fuori il nome di Nicola Mancino – accusato in questo procedimento, però, solo di falsa testimonianza – come terminale politico-istituzionale del dialogo intrapreso da Cosa nostra per convincere lo Stato a scendere a patti. Sempre Brusca, poi, ha aggiunto come dopo l’elezione di Silvio Berlusconi nel 1994, lo stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, sarebbe stato il messaggero delle minacce dei boss destinate al nuovo governo che avrebbe dovuto approvare provvedimenti di favore alla mafia pena il riavvio della stagione stragista.
L’altro personaggio che sarà sentito è Paolo Bellini, la “primula nera”. Si tratta di un personaggio “border-line”, militante fin dagli anni ’70 nei ranghi dell’eversione nera e chiamato in causa, anche collateralmente, nelle peggiori storie italiane fra cui, in particolare, la strage alla stazione di Bologna dell’agosto 1980. Bellini è entrato in contatto col gruppo di San Giuseppe Jato che faceva riferimento proprio a Giovanni Brusca e che contava nelle sue fila personaggi come Santo Di Matteo, Gioacchino La Barbera e Antonio Gioè. Proprio quest’ultimo nella lettera-testamento lasciata in seguito al suo suicidio in carcere, indica Bellini come una sorta di ispiratore delle stragi del 1993 di Roma, Firenze e Milano. Lui ha sempre negato ma ha confermato di aver avuto un ruolo in un’altra trattativa, precedente a quella oggetto del processo, in cui la materia di scambio erano alcune opere d’arte rubate. Negli seconda metà degli anni ’90, però, Bellini ha deciso di collaborare con la giustizia e, in questa veste, dovrebbe essere sentito nel processo.
Oltre i testimoni, il gup Morosini ha chiesto anche la trascrizione dell’ultima udienza del processo a Mario Mori che si tiene a Palermo di fronte alla quarta sezione penale, in cui a parlare, fra gli altri, sono stati il magistrato Olindo Canali e l’ex maresciallo Giuseppe Scibilia. A questi documenti si aggiungono due informative della Dia del 1994 e del 1998.
Il processo è stato rinviato a domani, quando sarà stilato il programma delle prossime udienze.