Mafia, pizzo e case popolari allo Zen| Quattordici fermi a Palermo - Live Sicilia

Mafia, pizzo e case popolari allo Zen| Quattordici fermi a Palermo

Allo Zen, popolare quartiere alla periferia di Palermo, comandava Cosa nostra. I mafiosi gestivano persino l'assegnazione degli alloggi popolari, strappati ai legittimi assegnatari e rivenduti sottobanco. I fermi eseguiti dalla Squadra mobile, dalla Direzione investigativa antimafia e dagli uomini del commissariato San Lorenzo sono quattordici. L'ultimo è stato notificato all'ospedale Policlinico dove Domenico Mazzè è ricoverato da alcuni giorni. I NOMI DEI FERMATI

operazione di squadra mobile e dia
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PALERMO – Un intero quartiere sotto scacco. Allo Zen, periferia di Palermo, comandava Cosa nostra. I mafiosi gestivano persino l’assegnazione degli alloggi popolari. Per abitare una casa bisognava pagare una tassa da 20 mila euro al clan mafioso. Una mercato parallelo in spregio ad ogni regola che è stato sgominato da un’operazione della Squadra mobile, della Direzione investigativa antimafia e dagli uomini del commissariato San Lorenzo.

Quattordici persone sono state raggiunte da un provvedimento di fermo. Erano tredici fino a poche ore fa quando all’elenco dei fermati si è aggiunto il nome di Domenico Mazzè. Gli agenti della Dia non lo avevano trovato in casa. Poi, lo hanno rintracciato al Policlinico dove è ricoverato da alcuni giorni. Mazzè e altri nove indagati sono accusati di associazione mafiosa. Altri di estorsione e violenza. Già, perché allo Zen se non si sottostava alle leggi di Cosa nostra si finiva con un coltello puntato alla gola. Oppure, sbattuto fuori casa.

Quella che emerge è una storia di miseria, sopraffazione e paura. È venuta a galla grazie alla denuncia di alcuni residenti del quartiere. Gente per bene stanca di dovere pagare per continuare a ricevere, nella migliore delle ipotesi, luce e acqua. O, nella peggiore, per evitare di trovare occupata la propria casa al rientro da una visita in ospedale. Occupata e venduta ad altri. Ce n’è abbastanza per fare sostenere ai magistrati (l’indagine è coordinata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, e dai sostituti Lisa Sava, Francesco Del Bene, Annamaria Picozzi, Francesco Grassi e Alessandro Picchi) che allo Zen “lo stato di diritto è stato sostituito da un regime autarchico retto dalla violenza e dalla sopraffazione che costringe i suoi abitanti ad attestarsi ad una cultura della rassegnazione”.

“I casi popolari su nuostre (le case popolari sono nostre)”, mise a verbale Salvatore Giordano, uno dei collaboratori di giustizia che ha contribuito alle indagini. Parlando di Antonino Pirrotta spiegava:  “Lui ha il potere di vendere… c’è una casa 20 mila euro, come a me ha venduto una casa a me, io la cercavo, un garage mi ha fatto trovare, da me si è preso tre mila euro”. Case vendute sottobanco, nonostante siano di proprietà dell’Istituto autonome case popolari che ne dovrebbe programmare l’assegnazione. Quale sia il meccanismo lo ha spiegato un altro collaboratore, Sebastiano Arnone: “C’erano persone che avevano la casa assegnata allo Zen e non ci volevano andare a stare e andavano a consegnare le chiavi all’Istituto autonomo case popolari. E tramite questo di qua (probabilmente un impiegato infedele), faceva sapere alla famiglia dello Zen che c’era questa casa… gli mandavano un prestanome, poi dopo cinque mesi gliela levavano e se la rivendevano a 20, 25 mila euro”. Oppure capitava che al loro arrivo i legittimi assegnatari trovassero in casa i picciotti. Meglio rifiutare l’alloggio. Rifiuti silenziosi, spinti dalla paura, che facevano perdere loro il diritto all’immobile.

Nel 2011 i poliziotti perquisirono il garage di Giuseppe Covello. Vi trovarono un quaderno. Era il libro mastro dei condomini dello Zen. C’erano i nomi di chi abitava nei padiglioni con accanto alcune cifre. Oltre 200 famiglie schedate, costrette a pagare per avere l’acqua e la luce. La mafia aveva allacciato le case abusivamente alle reti. E chiedeva dieci o venti euro al mese per ogni famiglia. Chi non pagava restava a secco e al buio.

A fare il punto sulle cifre pagate per occupare, senza diritto, un alloggio ci ha pensato un altro collaboratore, Manuel Pasta: “Le case che hanno gli assegnatari costano circa 60 mila euro, meno quelle senza nominativo”. Allo Zen 1 i prezzi salgono: “Sono 130-140 mila euro per quelle assegnate, quelle senza nominativo vengono 70 mila euro. Lì è come se ci fosse lo Stato rappresentato da Cosa nostra, come se ci fosse l’Istituto delle case popolari, dove la gente si rivolge a qualche soggetto che fa parte della cosca dello Zen e gli dice: a me interessa una casa popolare. Quello, come un vero e proprio ufficio, si interessa di trovare l’alloggio più adeguato, di stabilire il prezzo, decidere a chi assegnarla e a chi no”.



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