PALERMO – “Ma ce ne sono, io lo so, specie tra i pezzi da novanta sepolti nelle patrie galere, ultimi epigoni di un mondo al tramonto, che possono essere recuperati e dare corpo alla speranza di un futuro diverso nell’opera di affrancamento da valori negativi. Ci sono coscienze provate che hanno abdicato al mito di una mafia idealizzata e fanno i conti, sconfortati, con le macerie lasciate in eredità da stagioni folli”. Lo scrive nel suo blog Nino Mandalà, che ha finito di scontare 8 anni di carcere per associazione mafiosa indicato come il capomafia di Villabate (Pa), padre di Nicola, braccio destro del padrino Bernardo Provenzano e condannato all’ergastolo.
”Il recupero di esse – aggiunge – è la vera sfida che lo Stato si deve imporre, invece di ricorrere ai soliti strumenti che incattiviscono piuttosto che redimere. I tempi sono maturi e i Torquemada hanno ormai concluso il loro compito”. ”Il carcere più che un luogo – scrive – è una condizione che rende la vita non vita e la confina in un limbo dove tutto è sfocato e incerto. Anche i più forti in carcere vengono privati di qualcosa, la loro volontà è erosa da quello che è stato definito l’ozio senza riposo, da un logorio metodico e costante che lima la resistenza e la piega alla monotonia di consuetudini sempre uguali, sempre obbedienti ad una logica che ha nella demenzialità la sua ragion d’essere. Quando le albe e i tramonti salutano giornate fatte degli stessi rituali di sempre che hanno nelle quattro pareti di una cella i confini del loro mondo, la prospettiva si accorcia impercettibilmente e inesorabilmente giorno dopo giorno, e le coscienze tramortiscono. Oppure si ribellano e gli animi si inaspriscono fino alla crudeltà o alla pazzia e, nel caso degli ergastolani, fino alla tentazione del gesto estremo”