PALERMO – “Salvato” dalla prescrizione nel processo penale e ora condannato per danno erariale. Mario Re, ex primario della Rianimazione dell’ospedale Civico di Palermo, deve risarcire 428 mila euro all’azienda sanitaria.
La Corte dei Conti, presieduta da Guido Carlino, ha accolto al ricostruzione del pubblico ministero della Procura regionale Alessandro Sperandeo. Disposto anche il sequestro di case e terreni di Re in attesa che il giudizio diventi definitivo. La sentenza è di primo grado e sarà certamente appellata.
Nel 2008 un’indagine della sezione Reati contro la pubblica amministrazione della Squadra mobile svelò un giro di corruzione nella gestione degli appalti per le forniture, truffe e peculati ai danni dell’azienda ospedaliera. Grazie alla compiacenza dei medici, e sfruttando l’escamotage dell’urgenza, le forniture sarebbero state gonfiate. Mario Re era uno degli imputati e fu accusato di avere ottenuto in cambio una serie di benefit: cene, congressi, viaggi, ingressi allo stadio, il pagamento delle rate della macchina e altro ancora. In primo grado l’ex primario u condannato a 7 e due mesi per corruzione, truffa e falso. In appello arrivò la prescrizione dei di delitti truffa e corruzione e la pena scese a 4 anni e 11 mesi per falso. Falso che, infine, nel 2017 la Cassazione dichiarò anch’esso prescritto.
Le indagini della magistratura contabile sono andate avanti lo stesso poiché, si legge nella motivazione della condanna in sede contabile, “la Cassazione, nel dichiarare la prescrizione anche del reato di falso, aveva comunque confermato la bontà dell’impianto accusatorio, deducendo che, pur in assenza di un giudicato di condanna, le prove raccolte in sede penale avrebbero dovuto essere liberamente valutate dal collegio al fine di formare un convincimento conforme alla propria impostazione”.
Le indagini contabili sono sfociate innanzitutto con un invito a dedurre – la cifra contestata all’inizio era molto più pesante – alla luce della “penetrante adesione psicologica al mercimonio” da parte di Mario Re. La Corte dei Conti scrive: “La fondatezza dell’accusa postula, da una parte la dimostrazione che i beni pagati (si tratta dei presidi sanitari, ndr) non siano stati recapitati, dall’altra che il convenuto sia stato compartecipe dell’operazione. Entrambe le circostanze, ad avviso del collegio, sono state provate”. I giudici ritengono che “numerosi elementi, tutti positivamente delibati nel giudizio penale, depongono per la partecipazione del primario alla compagine che ideò e portò ad attuazione il disegno criminoso”.
Da qui la condanna nonostante il difensore di Re abbia contestato la prescrizione del danno erariale e cercato di smentire la responsabilità dell’ex primario nella sottoscrizione degli ordini. Inevitabile il ricorso in appello.