Massacrare nel nome di un dio - Live Sicilia

Massacrare nel nome di un dio

Cosa passa nella testa di un uomo che rischia di affogare e si preoccupa di eliminare fisicamente dei suoi simili, nelle medesime condizioni, colpevoli di pregare Dio chiamandolo Gesù?

Ha ragione Roberto Puglisi, quando scrive che “ci sono barbari mescolati all’innocenza, diretti verso le nostre coste, verso il centro di ciò che più fomenta la loro rabbia. E non conoscono pietà”. Ha ragione il procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Lo Voi quando dichiara, con le dovute cautele: “se quello che emerge dalle prime indagini e dai racconti dei superstiti dovesse essere accertato, tutto questo getterebbe una nuova luce sulla pericolosità di certi arrivi”. Il barcone in cui sembra essersi consumata una tragedia sulla tragedia, l’uccisione feroce, per ragioni religiose, di alcuni profughi cristiani per mano di altri profughi musulmani, era partito dalla Libia il 14 aprile. A un certo punto pare che abbia cominciato ad imbarcare acqua e ognuno, in preda alla paura, ha supplicato il proprio Dio. Anche i presunti assassini lo hanno fatto, si sono rivolti al loro dio che, però, non è certamente Allah. E’ un dio rivelatosi crudele, un dio che non salva, che non ama, che conosce, nelle menti contorte dei suoi seguaci, solo spietatezza, lacrime e distruzione.

E’, guarda caso, lo stesso dio dell’Is (stato islamico) che massacra quotidianamente innocenti commettendo atrocità inenarrabili, minacciando di raggiungere piazza San Pietro per issare lì la lugubre bandiera nera, sporca di sangue. Cosa passa nella testa di un uomo che rischia di affogare e si preoccupa di eliminare fisicamente dei suoi simili, nelle medesime condizioni, colpevoli di pregare Dio chiamandolo Gesù? E’ ciò su cui occorre indagare per capire se dietro un atto apparentemente estemporaneo, magari perpetrato nella sicurezza dell’impunità e dell’omertà dei testimoni terrorizzati, se dietro la struttura criminale che gestisce le rotte dei clandestini, ci sia qualcosa di maggiormente inquietante. Infatti, ci sono alcune domande che mi inseguono da quando l’orrore massimo si è impossessato di quel tratto del canale di Sicilia, tomba di migliaia di disperati.

Che senso ha uccidere dei cristiani per odio religioso, all’interno di una imbarcazione a rischio naufragio, mentre si sta navigando verso l’Europa, la culla della cristianità? Che senso ha andare in direzione di luoghi dove a ogni angolo ci sono chiese e simboli cristiani se è bastato udire il nome di Gesù per scatenare la furia omicida? Cosa avrebbero fatto i presunti assassini, allora, appena giunti nei nostri territori, avrebbero cominciato ad ammazzare a destra e a manca per puro fanatismo? Avrebbero decapitato sul posto chiunque avesse una croce al collo in un crescendo di delirio fanatico? Avrebbero atteso l’uscita dei fedeli dalle cattedrali per bruciarli vivi, così, solo per fanatismo religioso? No, c’è qualcosa che non torna.

Potrebbe non convincere il fanatismo solitario, individuale, slegato da organizzati indottrinamenti accolti e sedimentati al di fuori di quella carretta del mare malridotta. Quelle uccisioni sembrano una sorta di battesimo del sangue. Se per te chi nomina Gesù sta bestemmiando, non vai nelle nazioni dove Gesù lo si invoca e lo si prega. Tranne se sei animato dalla lucida volontà di uccidere, affascinato dal malefico progetto di assoggettare il mondo intero, con mezzi mostruosi, alla “vera” religione, annullando compassione e misericordia sull’altare del tuo dio sanguinario. Chi fugge da guerre e violenze non ha tempo e spazio per l’odio religioso, non cerca altre guerre, più o meno “sante”, cerca unicamente di dare corpo a una speranza, quella di trovare una terra e degli esseri umani accoglienti, musulmani, ebrei, atei o cristiani non importa, che gli facciano dimenticare dolori e sofferenze inaudite e gli regalino un futuro sereno. Sì, ci sono barbari in arrivo, mescolati all’innocenza.


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