PALERMO – Ammette solo la latitanza. Per il resto Matteo Messina Denaro nega tutto, persino di conoscere la mafia. “Non faccio parte di nessuna associazione. Quello che so di Cosa Nostra, lo so tramite i giornali”. Ecco il resoconto integrale del verbale del capomafia di Castelvetrano, anticipato nei giorni scorsi da Livesicilia.
Lo scorso 16 febbraio il padrino è collegato in videoconferenza dal carcere, a L’Aquila. Ad interrogarlo sono il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto e i pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gianluca De Leo. Si tratta dell’interrogatorio di garanzia per una vecchia vicenda di estorsione. Non gli avevano potuto notificare l’ordinanza di custodia cautelare. Messina Denaro avrebbe minacciato una famiglia di Castelvetrano per farsi restituire un terreno comprato dal padre.
“Se qualcosa ho non lo dico, sarebbe da stupidi”
Soprannomi? “Me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti Ma io nella mia famiglia non ho avuto mai soprannomi”. Residenza? “Non ce l’ho più da tanto tempo perché so che il Comune tanti anni fa proprio mi ha cancellato. Io sono ormai, non lo so, un apolide”. Continua spiegando di essere stato “un agricoltore” e che la sua ultima residenza da uomo libero era a Castelvetrano. A Campobello di Mazara, luogo dei suoi ultimi rifugi prima della cattura, “ci risiedevo da latitante, quindi di nascosto, in segreto”. Beni patrimoniali? “Li avevo, me le avete tolti tutti, se qualcosa ho non lo dico, sarebbe da stupidi”. Il giudice insiste con la domanda e il boss ammette di avere un patrimonio nascosto: “Certo che ne ho sennò come potevo vivere fino a ora”.
“Un po’ di umorismo”
Quando il giudice gli chiede se ha precedenti penali, Messina Denaro ci scherza su. Ha riportato condanne? “Credo di sì”. Montalto lo richiama. “Non è crede, lei sa”. Il boss sembra scusarsi: “Presidente mi ascolti Io ho detto credo di proposito perché anche voi dall’altra parte mi avete chiesto se ho sentenze definitive, lo sapete pure voi e allora l’ho preso con un po’ di umorismo”.
Il messaggio intimidatorio per riavere il terreno, secondo l’accusa, sarebbe stato veicolato tramite Vincenzo La Cascia, personaggio che lo avrebbe aiutato anche durante la latitanza. Messina Denaro conferma di conoscerlo, “ha lavorato tanti anni con me”, ma solo “fino a quando sono stato libero, fino al 1993”. I messaggi recapitati al latitante tramite il fratello Salvatore? “Questo lo dice lo Stato e gli inquirenti che indagavano, a me non mi risulta”.
“Il terreno comprato da mio padre”
Il terreno in questione si trova in contrada Zangara. I pentiti raccontarono che un tempo era stato pure nella disponibilità di Totò Riina: “Questo terreno è stato comprato da mio padre nel 1983. Mio padre era amico del padre della signora Passanante che oggi è pure morto e allora ha chiesto a Passanante Alfonso (boss di Campobello di Mazara oggi deceduto ndr) che conoscevo pure io se poteva fare il favore di intestarsi questo bene”.
Solo che la figlia di Passanante non ne voleva sapere di restituirlo: “Ad un tratto negli ultimi anni vengo a sapere che lei stava vendendo il terreno perché lo venni a sapere perché il marito si recava in quel sito agricolo con i sensali”.
La lettera e i pizzini
Parlando del terreno Messina Denaro fa altri riferimenti alla sua trentennale fuga. Racconta che “in questi due anni che ho fatto di latitanza a Campobello, sapevo che si trattasse di La Rosa (parla del marito della figlia di Passannate ndr) perché mi perdonerà ma io qualche amico a Campobello ce l’avevo”. Nel 2013 prese carta e penna scrisse alla donna e inviò la lettera per posta. Niente pizzini, dunque. Ed ecco l’ammissione di avere goduto di una rete di postini: “Ora una persona, mi riferisco alla signora Passanante, che si sta rubando un bene non suo si può avere fiducia di mandarle qualcuno con una lettera a pizzino… io la lettera io l’ho imbucata per posta da Castelvetrano… il momento in cui io le mando la lettera con un tipo tramite pizzino è normale che questa denuncia anche nel sottobosco per confidenza con i carabinieri o con la polizia perché a quella interessa distruggere me e che sono scemo che io lo mando tramite una persona che brucio chiunque esso sia, e io l’ho mandata per posta”.
“Le mie cose non me le faccio rubare”
Era diventata una questione di onore: “Io se le cose se le prende lo Stato ci sto, è lo Stato io sono nessuno e da noi si dice quando la ragione si scontra con la forza la forza vince, la ragione non basta. Ma che tu nel senso di lei mi viene a rubare le mie cose vedi che le mie cose non me le faccio rubare, mi vado a prendere tanti altri processi. Ma lei non ha sistemato niente… il terreno è suo”. Almeno bloccò la vendita, contattando gli acquirenti: “… ho dovuto fare sapere a queste persone di non comprarsi il terreno”. E queste persone sapevano che la richiesta arrivava da Messina Denaro? Certo, sì certo anche perché se nascondevano questo (si riferisce ai suoi emissari ndr) di fatto non concludevano niente”. Ed ecco allungarsi l’elenco di chi sapeva che Messina Denaro era vivo, vegeto e operativo.