Matteo Messina Denaro è stato interrogato: ecco il verbale

Messina Denaro interrogato, cosa ha detto ai giudici

Il padrino beffardo e ambiguo. "Sono un agricoltore, non mi manca nulla"

PALERMO – Pseudonimo o soprannome? “Nessuno”. Residenza anagrafica? “Privo di residenza“. Professione? “Agricoltore”. Luogo in cui esercita l’attività lavorativa? “Castelvetrano”. Condizioni di vita? “Ottime, non mi manca nulla“. Titolo di studio? “Licenza media”. Beni patrimoniali? “Nessuno, anzi sì li ho”.

Ad aprire il verbale sono le domande di rito. Fuori dall’ordinario è colui che risponde. Il 16 febbraio 2023 c’è Matteo Messina Denaro collegato in video conferenza dal carcere, a L’Aquila, dove è stato trasferito dopo l’arresto. Per il padrino ed ex latitante si tratta di un interrogatorio di garanzia. La sua fuga ha impedito di notificargli un ordine di arresto per una tentata estorsione legata alla proprietà di un terreno. Ad interrogarlo è il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto. Sono presenti i pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gianluca De Leo.

Messina Denaro nomina il suo avvocato di fiducia, la nipote Lorenza Guttadauro. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, il boss nel 2013 avrebbe firmato una lettera intimidatoria per dirimere, a modo suo, la questione sull’utilizzo di un terreno. Terreno che in passato era stato anche nella disponibilità di Totò Riina e poi del boss di Campobello di Mazara, Alfonso Passanante. Infine era stato ereditato dai figli di quest’ultimo. Messina Denaro avrebbe esercitato pressioni affinché cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di terreno in contrada Zangara.

Il 29 dicembre 2013 la figlia di Passanante fu intercettata mentre mentre chiedeva al boss di Campobello di Mazara, oggi deceduto, Vito Gondola informazioni sulla missiva che, secondo la ricostruzione dei pm, gli sarebbe stata consegnata da Vincenzo La Cascia. Messina Denaro accetta di rispondere. Le risposte svelano il suo essere disponibile e beffardo al tempo stesso. A volte ambiguo, sempre cortese.

Il primo nome pronunciato dall’ex latitante è quello di Vincenzo La Cascia, ma di fatto lo scagionerebbe dalla ipotesi accusatoria che sia stato il postino della lettera: “Lo conosco ha lavorato con me fino al 1993 (anno in cui inizia la fuga, ndr), dopo latitanza non l’ho più incontrato“. Dice di non non conoscere neppure Giuseppina Passanante e il marito Giuseppe La Rosa: “Conosco il papà della Passanante” e spiega che “il terreno agricolo è stato comprato da mio padre nel 1983. Mio padre ha chiesto a Passanante Alfonso se potesse intestarsi quel bene e lui acconsentì”. Poi si addentra nella stagione della latitanza.

Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro al suo arrivo in clinica a Palermo

Messina Denaro riferisce al giudice particolari che confermano la sua capacità di restare a contatto, sempre comunque, con il suo territorio: “Io avevo a che fare con il passante Alfonso. Quando mio padre ed io eravamo latitanti e il signor Passanante era in carcere abbiamo saputo che questo terreno fu ipotecato, ma non dissi nulla perché il Passanante era in carcere. Io mai chiesi alla signora Passanante qualcosa in cambio”.

Fu Alfonso Passanante, nel ’91, a presentargli la figlia: “Ci incontrammo a Tre Fontane (località balneare di Cmpobello di Mazara, il paese dove ha vissuto l’ultima fase della sua latitanza) e disse alla figlia ‘qualsiasi cosa succeda tu devi sapere che il terreno è suo’. Io non ho mai fatto richieste alla Passanante, i guadagni se la vedeva lei”. Solo apparentemente disinteressato, visto che nel passaggio successivo del verbale Messina Denaro al contrario dimostra di conoscere a fondo la vicende della famiglia Passanante: “Avevano tutte cose ipotecate dalle banche e la signora Passanante non so in che anno è riuscita a svincolare tutte le proprietà facendo un concordato con le banche creditrici mediante un mutuo. Io sapevo queste notizie da altre fonti non dalla Passanante. Era normale che seguissi queste operazioni”. Qualcuno, dunque, era in costante contatto con il latitante. Lo informava passo dopo passo. Si nascondeva anche allora nel Trapanese, come ha fatto certamente nell’ultimo periodo? In realtà si spostava molto, in Italia e all’estero, e ogni tanto tornava a casa dove ad un certo ha deciso di rientrare.

La rete di trasmissione delle informazioni, di cui non si conoscono ancora tutti gli anelli, era efficiente. Ed infatti, aggiunge, “vengo a sapere che lei voleva vendere il terreno. Avevano l’affare concluso, ma sotto prezzo. Lei voleva prendere i soldi di questo terreno per estinguere il mutuo. A quel punto ho inviato una lettera alla Passanante per rivendicare la proprietà del terreno, credendo di essere nel giusto. Il periodo dovrebbe essere quello indicato nella contestazione”. C’era in ballo la roba di famiglia e non aveva alcuna intenzione di farsi mettere in piedi in testa. Ha vissuto nel lusso, ma qui c’era in ballo l’onore della famiglia.

Dunque ammette l’episodio, non spiega come fece recapitare la lettera e fa riferimento ad altri suoi ambasciatori. Subito dopo chiarisce: “Ho dovuto anche fare sapere ai promittenti acquirenti di non comprare quel terreno. Per me non ho utilizzato una modalità mafiosa perché per me era una mia proprietà il terreno”. Perché Messina Denaro, ambiguo e cortese al tempo stesso, continua a negare, tra un sogghigno e l’altro, le accuse che gli vengono mosse. Dal piccolo, ma significativo, episodio di estorsione alle stragi di mafia.


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