PALERMO – La corsa verso il Quirinale potrebbe trasformarsi in un “derby di Sicilia”. Sarebbero addirittura tre i politici dell’Isola il lizza per la successione di Giorgio Napolitano. Anche loro, come gli altri, sono il frutto delle proposte dei partiti, dei “veti incrociati” e delle esigenze di larghe intese e governissimi.
Uno di loro, a dire il vero, ricopre già un ruolo di grandissimo prestigio. Un’eventuale elezione alla Presidenza della Repubblica, infatti, rappresenterebbe un “saltello” dalla seconda alla prima carica dello Stato. Piero Grasso, presidente del Senato, infatti, è tra i nomi ultimamente più gettonati. Lui, di fronte alle voci ricorrenti, avrebbe detto ai cronisti: “Quando sento queste notizie mi turo le orecchie”. Si tratterebbe, per Grasso, di una repentina e folgorante ascesa. Per lui, Procuratore antimafia fino, in fondo, a pochi mesi fa, ecco nell’ordine l’elezione in Parlamento col Pd, l’individuazione come successore di un altro siciliano, Renato Schifani, e addirittura le voci che lo vorrebbero al Quirinale.
Dove, però, potrebbe sedere, come detto, un altro palermitano di nascita. Dal cognome e dal curriculum importante. Ma “fuori dal giro”, cioè dal Parlamento, da qualche anno. Sergio Mattarella, è figlio di Bernardo Mattarella e fratello di Piersanti, ex presidente della Regione Siciliana ucciso dalla mafia. Sergio è stato un deputato per la prima volta nel 1983, ministro dei rapporti con il Parlamento nei governi De Mita e Goria, alla pubblica istruzione nel sesto governo Andreotti. Mattarella è, insomma, un moderato. E nonostante abbia fatto parte nell’ultima sua esperienza da parlamentare, dell’Ulivo (ma proveniente dalla Margherita), potrebbe essere “gradito” anche al centrodestra. Fu lui, infatti, tra gli artefici del “transito” della Dc al Partito Popolare Italiano. Nel primo governo D’Alema è stato vicepresidente del Consiglio, poi ministro della Difesa nel “D’Alema bis” e nel secondo governo di Giuliano Amato. Nel 2001 viene eletto alla Camera, come detto, tra le fila della Margherita, e nel 2006 con l’Ulivo. Dal 2008 non siede in Parlamento. Quel Parlamento la cui composizione, però, è frutto anche del suo lavoro. La riforma della legge elettorale in senso maggioritario porta il suo nome. Non a caso, in gergo, è ricordata come “Mattarellum”. Attualmente ricopre il ruolo di giudice della Corte costituzionale.
La terna sicula verso il Quirinale si chiude col nome di una donna. Una figura femminile, infatti, è richiesta da ampie fette della società civile. E l’idea sembra trovare spazio tra i partiti. E se non è ancora del tutto esclusa la candidatura del ministro Anna Maria Cancellieri (che non è siciliana, ma che nell’Isola ha ricoperto delicati incarichi dal 2007 in poi), ecco tornare il nome di Anna Finocchiaro. Per lei, lunga esperienza tra le fila del Pd, partito del quale è stata capogruppo al Senato per due legislature di fila. Nel 2008 il centrosinistra la sceglie per la corsa verso Palazzo d’Orleans, contro il candidato del centrodestra Raffaele Lombardo. Ma la storia è nota: Lombardo vince con un ampio margine sulla Finocchiaro. Che pochi anni dopo verrà indirettamente coinvolta nello scandalo su un appalto riguardante il nascente Pta di Giarre. Un affidamento che avrebbe favorito il marito della Finocchiaro, Melchiorre Fidelbo, che a ottobre è stato rinviato a giudizio per abuso di ufficio e truffa: è accusato di aver fatto pressioni indebite sui dirigenti dell’Azienda sanitaria con lo scopo di ottenere l’appalto. Potrebbe, questa storia, sbarrare le porte del Quirinale alla senatrice del Pd?