"Messina Denaro andò ai Parioli" | Costanzo svela i segreti delle stragi - Live Sicilia

“Messina Denaro andò ai Parioli” | Costanzo svela i segreti delle stragi

Lunga intervista sul mensile “S” al noto giornalista Maurizio Costanzo

PALERMO – “Questo Costanzo mi ha rotto i c*******”. È questa la sentenza di morte che Totò Riina emise contro il giornalista Maurizio Costanzo quasi trent’anni fa. E la mafia, quando emette una sentenza si sa, prima o poi la esegue. Alle 21.35 del 14 maggio 1993, infatti, settanta chili di tritolo, nascosti in una Fiat Uno rubata, esplodono in via Ruggero Fauro a Roma. Da lì, da quel tratto di strada del centro della Capitale, era appena passata l’auto con a bordo Maurizio Costanzo e la moglie Maria De Filippi, seguiti dalla scorta. Il conduttore e la compagna rimasero illesi e dell’attentato si è sempre detto che fallì. L’agguato, organizzato su ordine dei corleonesi dal gruppo di fuoco di Brancaccio, fu organizzato a Roma da Cristoforo Cannella, Salvatore Benigno, Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano e Antonio Scarrano, riconosciuti successivamente al processo come “esecutori materiali” dei fatti di via Fauro. Ed è da allora, a parte la partecipazione ai processi e qualche rara intervista, che Costanzo, amico di Giovanni Falcone e impegnato da sempre attivamente contro la mafia, è restio a parlare di quel tragico giorno e dei suoi risvolti. Come infatti ha rivelato successivamente Salvatore Benigno, esecutore dell’innesco dell’autobomba, fu soltanto la fortuna a salvare il conduttore, la bomba esplose con qualche istante di ritardo perché, per un caso fortuito, Costanzo quella sera viaggiava su una Mercedes blu, che non era la sua macchina abituale e Benigno esitò. Costanzo adesso sul mensile S presente in tutte le edicole, in una lunga intervista ricorda un’altra delle stragi di mafia, quella che uccise il giudice Borsellino e la sua scorta, lo fa con dolore e soltanto per commemorarne la memoria.
Costanzo, sono passati 27 anni dalla morte del giudice Borsellino, alla luce della recentissima sentenza di primo grado del processo Trattativa Stato-Mafia, è cambiata la sua idea sui motivi che hanno indotto Cosa Nostra ad attentare alla sua vita e a quella di Maria De Filippi?

Ma no, io ho sempre pensato e continuo a pensare che ho fatto il mio mestiere che è quello di parlare di mafia con tutti senza mezze parole e quindi sono consapevole di aver provocato, giustamente dico io in loro, una reazione. Io faccio il giornalista, loro fanno i criminali, è il gioco delle parti, mi è andata bene, poteva non andare così, però è un rischio che si corre se si vuol fare bene il proprio mestiere. Certo, se non si pestano i piedi a nessuno, è difficile che ti mettano settanta chili di tritolo.

Nel febbraio del ’92, ha rivelato Giuseppe Graviano al suo compagno di cella Adinolfi, otto killer di Cosa Nostra entrarono al Teatro Parioli per assistere a una puntata del Costanzo Show, mentre sul palco c’era Giovanni Falcone. Era così facile ottenere un invito?

Ma, questo me l’ha detto pure un magistrato, cioè che più volte alcuni mafiosi si sono infiltrati nel pubblico del Parioli, pare addirittura Matteo Messina Denaro, me lo disse un PM, per vedere se era possibile fare l’attentato lì, ma il problema fu che hanno capito che in sala era difficile farlo perché c’era molto controllo, ma che fuori si poteva fare. Mi hanno seguito per vedere se potevano colpirmi sotto casa, la fortuna qui mi è venuta in soccorso perché io quel giorno non sono andato dal Parioli a casa come facevo di solito, mi sono recato a casa dall’allora Ministro dell’Interno Vincenzo scotti, mio caro amico che stava poco bene e hanno visto che sotto il portone da dove io sono entrato c’era la camionetta dei carabinieri. Per loro quella era casa mia, si sono sbagliati e sono andati via.

È un fatto che lei non ha mai raccontato

I giudici di Firenze che si sono occupati di me a causa del morto che ci fu in via Dei Gergofili, hanno ricostruito i fatti e mi raccontarono che questi signori erano venuti a Roma e pensando che io fossi del mondo dello spettacolo, credevano di trovarmi in via Veneto, dove invece videro Renzo Arbore. Ci sono gli scontrini degli abiti che si sono comprati per fare bella figura nella Roma della Dolce Vita.

La copertina palermitana del mensile "S"

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