CASTELVETRANO (TRAPANI) – “Altro che vittoria, qui si respira un clima di paura e sul territorio sono ripresi alcuni segnali preoccupanti”. Parla così Elena Ferraro, la donna che ha denunciato un tentativo di estorsione da parte di Mario Messina Denaro, il cugino del superboss catturato il 16 gennaio. Dopo la recente telefonata intimidatoria (“Vuoi morire”) arrivata a Calogero Montante, il legale d’ufficio del capomafia intenzionato a rinunciare alla difesa, e le nuove minacce dirette ad un’imprenditrice del Trapanese, Lina Stabile (“Te ne devi andare”), “la situazione, qui, è tutt’altro che serena”.
A Castelvetrano non avverte la sensazione di liberazione che dovrebbe accompagnare una cattura eccellente come quella di Messina Denaro?
“C’è una grande fetta di popolazione che vive questa cattura come una sorta di resa da parte del latitante, come se ci fosse un accordo con lo Stato, come se il boss, anche a causa della sua malattia, avesse deciso di farsi prendere. Qui la gente parla di collusi, di trattative, del fatto che lo Stato sia peggio della mafia. Non si riconosce e non si percepisce che la magistratura e le forze dell’ordine abbiano stretto il cerchio e fatto terra bruciata. Emerge, invece, che è stato il boss a decidere perché i piani alti sono conniventi. Scardinare questo modus vivendi non è facile. Quello che riscontro quotidianamente quando parlo con la gente, anche con professionisti e medici, è che la cattura non è una vittoria della Stato, ma lo Stato ha trattato con il mafioso. La cosa assurda e paradossale è che parlando con la gente non c’è gioia, partecipazione collettiva. Questo è triste”.
Proprio in questi giorni si sono registrati altri due episodi: le minacce dirette ad un’imprenditrice e le minacce di morte giunte al legale nominato d’ufficio del capo mafia, la cappa di oppressione sembra non diradarsi?
“Assolutamente sì, e diro di più. C’è un altro episodio che è passato in cavalleria dopo l’arresto di Messina Denaro: a Petrosino, vicino Marsala, ci sono stati attentati intimidatori ai commercianti, che hanno trovato bottiglie incendiarie davanti al proprio negozio, quasi nessuno ne ha parlato. Tutte queste cose nuove, che prima non accadevano e che adesso invece accadono, devono farci riflettere. Quello che mi sconvolge maggiormente è il fatto che ci sia ancora un ‘amico’ che continua a portare avanti il nome di Messina Denaro, disposto a minacciare per conto del boss. Questo dimostra che ci sono tutt’ora persone che devono portate avanti il buon nome di Messina Denaro, seppur neutralizzato e in fin di vita”.
Lei si è segnalata per essere una mosca bianca, la prima se non l’unica che si è ribellata in maniera evidente e precisa al clan denunciando lo strapotere della cerchia del padrino. Con il boss in carcere ha meno da temere?
“Con l’arresto si è frantumata quella campana di vetro dentro la quale noi castelvetranesi abbiamo vissuto per anni. Quando c’era Messina Denaro mi sentivo personalmente più sicura perché lui aveva dato l’ordine di non attirare l’attenzione. Dopo la sua cattura è come se il clima intimidatorio non solo continua ad esserci ma si è accentuato. Io non sono molto serena. Ho la sensazione che stiano accadendo cose diverse da prima, gli equilibri stanno cambiando, ho più paura. So di essere un obiettivo sensibile: la mafia non dimentica, agisce dopo anni. Mi affido però sempre alla valutazione delle forze dell’ordine. Ho infinita fiducia nel loro lavoro”.
Durante questi anni ha mai avuto un dubbio sulla opportunità della sua scelta?
“No, mai. Ci sono stati momenti di scoraggiamento. Dal 2017, quando è uscito dalla galera Mario Messina Denaro, ad oggi sono cominciate le pressioni nei miei confronti attraverso vari personaggi, apparentemente tranquilli, che venivano nella mia clinica (Hermes a Castelvetrano, ndr), in veste di mediatori, e mi proponevano di acquistare le quote della struttura, in modo che cedessi le mie. Dopo che ebbi uno sfogo sui social, queste richieste hanno iniziato a ridursi, all’improvviso non ci sono state più pressioni, forse perché pensavano che avessi ‘cantato’. Lo rifarei”.
Cosa crede si debba fare per invertire definitivamente la rotta?
“Organizzare nelle scuole dibattiti sulla legalità, raccontare ai giovani chi è stato ucciso dalla mafia, spiegare loro che c’è una strada alternativa, che è quella della legalità, della schiena dritta. Dalle ultime indagini sui pizzini è uscito fuori che Messina Denaro aveva creato una sorta di partito autonomista della Sicilia nella quale diceva che loro, i mafiosi, sono perseguitati e che il cattivo era lo Stato. A chi subisce il fascino di queste parole dobbiamo offrire un’alternativa. Lo possiamo fare solo con la testimonianza diretta, solo spiegando la realtà e come stanno le cose, non cedendo dunque alle pressioni. Come cerco di fare io ogni giorno, restando qui, in questo territorio, a combattere”.
La ribellione allo strapotere criminale sembra essere sempre un moto individuale eppure non ci si stanca di ripetere che la lotta deve essere corale. Come si colma questa distanza?
“A me piace molto un detto africano che dice “mille passi cominciano sempre da uno”. Bisogna partire dal singolo. Quando sappiamo qual è la strada che vogliamo seguire, tra il bene e il male, ci mettiamo insieme, credendoci veramente e non solo per mettere la presenza. Partire da se stessi, dal proprio senso di responsabilità, è fondamentale. Quando ho detto “no” a quell’uomo con i baffi, che mi aveva detto che si chiamava Messina Denaro, omettendo il nome, (Mario, ndr), non ho pensato solo a me stessa, ma ai dipendenti della mia clinica. Se avessi accettato forse sarei diventata la “regina della sanità Trapanese”, come mi dicevano, ma alla fine sarebbe finita male, perché finisce sempre male. Come è successo, ad esempio, ai market Despar di Grigoli, un amico di Messina Denaro. Era partito con un negozietto di sapone ed è diventato “il re dei supermarcati”, ha avuto dieci anni di gloria, ma alla fine lo Stato è arrivato, perché vince sempre, e ha confiscato i beni. Certo, non basta dire sono dalla parte giusta, bisogna andare dalla polizia e fare nomi e cognomi, assumendosi il rischio”.
Ne ha pagato prezzi personali pesanti …
“È stato molto difficile. Il 13 dicembre 2013, a seguito dell’operazione Eden, che ha portato all’arresto di 30 persone, tra cui il cugino del boss Mario, in seguito alla denuncia che ho fatto, mi è stata assegnata la tutela fino al 2018. La cosa brutta è stata che in tutti questi anni non svolgevo il mio lavoro con serenità, ricevevo pressioni da parte di chi mi chiedeva di abbandonare il territorio, di cedere le quote della clinica. Vivendo a Montevago, che dista 20 minuti da Castelvetrano, mi sposto in auto e cerco sempre di cambiare percorso, così mi ha insegnato la polizia. Cerco di essere sempre vigile. Fino ad ora mi sono sentita sicura, protetta, perché lo Stato è sempre presente. Ma ammetto che adesso ho qualche paura in più. Messina Denaro utilizzava la strategia del silenzio, voleva che non si muovesse nulla. Adesso avrà lasciato il testimone a qualcun altro, e chi ha preso le redini non sappiamo se cercherà di colpire i simboli e chi alza la testa. Bisogna vedere chi ha preso il timone, sicuramente avrà un personalità e un modus operandi diverso, considerato quello che è accaduto nel territorio e in provincia: dall’attentato a Petrosino, all’imprenditrice e al legale minacciati. Piccoli grandi segnali che non mi fanno stare tranquilla. Finora c’è stato un equilibrio, che ora è saltato. L’incertezza mi preoccupa”.