PALERMO – La chiusura è stata netta. Ai magistrati di Palermo che sono volati a L’Aquila per interrogarlo, Matteo Messina Denaro ha spiegato di non essere il mostro che ha segnato nella maniera più orribile la storia d’Italia. Come tutti i pezzi da novanta di Cosa Nostra ha mostrato la sua natura di irriducibile.
Messina Denaro, l’irriducibile
I magistrati si sbagliano, ha detto il padrino corleonese. Non è lui il capomafia stragista, sanguinario assassino di uomini, donne e bambini. Nessuna apertura ad una collaborazione con la giustizia.
L’interrogatorio, reso al procuratore Maurizio de Lucia e all’aggiunto Paolo Guido, durato poco più di un’ora, è stato una pura formalità. Nessuno si attendeva colpi di scena. Giusto il tempo di contestare i nuovi reati emersi dopo la cattura: la ricettazione del revolver con matricola abrasa trovato nel covo di vicolo San Vito, la sostituzione di persona (si spacciava per il geometra Andrea Bonafesde e per altri cinque incensurati) e la falsificazione delle carte d’identità trovate nell’abitazione di Campobello di Mazara dove il padrino ha trascorso l’ultima parte della latitanza.
Il padrino recita la parte della vittima
Nulla a confronto con la scia di sangue e morte che ha lasciato nei suoi anni di vita, a cominciare dalle stragi mafiose del ’92.
Pacato, garbato, pronto a rispondere recitando la parte della vittima di un grosso abbaglio giudiziario. La realtà è nettamente diversa. La storia è diversa.
Le sue condizioni di salute sono apparse buone. Resta un malato grave che affronta il tumore. “Non credo che la cella possa essere paragonata ad un ambulatorio medico. “Non so se lo stanno curando bene”, dice Lorenza Guttadauro, avvocato e nipote del padrino, presente all’interrogatorio di due giorni fa.
Un interrogatorio segreto, ma non segretato conferma che nulla c’è da sviluppare dalle parole di Matteo Messina Denaro.