PALERMO – La strage di Firenze? Opera di “gente che non vale niente… io una bomba là non la mettevo perché ho una coscienza, mi spiego?”. Così ha messo a verbale, con tono di sfida, Matteo Messina Denaro, negando il suo ruolo e smentendo la storia giudiziaria sull’attentato del 1993.
La piccola Nadia
L’operazione che portò all’arresto del sanguinario stragista, il 16 gennaio scorso, è stata chiamata “Tramonto”. Un nome scelto non a caso. “Tramonto”, infatti, era il titolo della poesia scritta dalla piccola Nadia Nencioni, una delle vittime della strage. L’attentato del 27 maggio 1993 provocò il crollo della Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Rimasero uccisi Fabrizio Nencioni (39 anni), ispettore dei vigili urbani, la moglie Angela Fiume (36 anni), custode dell’Accademia, insieme alle loro figlie Nadia (9 anni) e Caterina (50 giorni), che abitavano al terzo piano della Torre. Nelle abitazioni circostanti si propagò un incendio, che uccise anche lo studente universitario Dario Capolicchio (22 anni).
Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo per la strage. Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Gaspare Spatuzza, è stato ricostruito che l’attentato fu pianificato nel corso di una riunione alla quale erano presenti, oltre allo stesso Spatuzza e ad altri boss, anche Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro. Si scelse l’obiettivo da colpire attraverso dépliant turistici.
“Io non so niente di Firenze”
Nel corso dell’interrogatorio del 16 febbraio scorso, davanti al giudice per le indagini Alfredo Montalto e ai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia Giovanni Antoci e Gianluca de Leo, il capomafia se l’è presa innanzitutto con i pentiti: “Io non so niente di Firenze poi quello che dicono i collaboratori di legge se la vedono loro“.
Il padrino ha fatto un confronto fra l’attentato e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo (anche per questo delitto si è detto innocente): “Quello del bambino fu un fatto mirato, quello di Firenze qualora fosse vero, ma sulla mia persona non è vero, non è che si volevano uccidere persone anche perché ci sono collaboratori di legge che dicono che la finalità non era uccidere delle persone. Solo che il problema è stato secondo me che sono andati con la ruspa cioè hanno ucciso la mosca con cannonate. Perché si sa che se si mettono bombe possono cadere degli innocenti, ma la finalità di come dicono gli altri non era uccidere le persone, era prendersela con lo Stato, con i beni dello Stato”.
Con lui “non sarebbe morto nessuno”
Quindi ha rivolto un attacco ai mandanti, l’intera cupola mafiosa, e agli esecutori: “Io non c’entro in queste cose però voglio discutere con la mia mente, è normale che se uno mette una bomba possono morire degli innocenti, c’è da vedere a chi mandano, i mandanti, a fare una cosa del genere, cioè che testa hanno che intelligenza hanno perché mettiamo caso che io andavo a Firenze a mettere questa bomba giusto con le stesse finalità non sarebbe morto nessuno perché io una bomba là non la mettevo perché ho una coscienza mi spiego”.
“Menefreghismo” dei boss
Fu un errore? “Partendo dal concetto che io non ne so niente, ma certo non è stato un errore secondo me, è stato un menefreghismo che è peggio perché l’errore può essere perdonato. Ma se io capisco e intuisco che là succedeva una strage e lo capiva pure un menomato che succedeva una strage perché conosce Firenze ecco che una bomba là non sarebbe mai stata messa. Il problema è che chi è stato hanno usato gente che vale niente”.