Mimmo Miceli torna in libertà | Sconterà la pena ai servizi sociali - Live Sicilia

Mimmo Miceli torna in libertà | Sconterà la pena ai servizi sociali

Il Tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta dei legali dell'ex assessore al Comune di Palermo, condannato in via definitiva a sei e mezzo per concorso esterno in associazione mafiosa (clicca qui). Da Roma dice: "Esiste una legge e ne abbiamo chiesto l'applicazione".

PALERMO – La conferma arriva direttamente dalla sua voce. Mimmo Miceli non è più in carcere. Sta finendo di scontare in affidamento ai servizi sociali la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. “Il Tribunale di sorveglianza di Roma – spiega – ha accolto l’istanza dei miei legali. Come previsto dalla legge si può finire di scontare la pena fuori dal carcere se si risponde a determinati requisiti. Tutto qui”. Il medico ed ex politico lo dice con grande pacatezza. Non si sente come uno a cui è stato fatto un favore. Ricorda che in “carcere ci sono rimasto quattro anni, esiste una legge e ne abbiamo chiesto l’applicazione”. Un iter normale, dunque. La Procura generale ha dato il parere favorevole all’affidamento ai servizi sociali. E la direzione del carcere di Roma Rebibbia ha certificato la sua buona condotta.

Tutto qui? La polemica, c’è da scommetterci, è dietro l’angolo. Più che per la vicenda di Miceli in sé per il parallelismo con quella di Totò Cuffaro, a cui il Tribunale di sorveglianza romano ha rifiutato l’affidamento ai servizi sociali. Allora i giudici, in soldoni, dissero che c’erano ancora dei margini di svelamento della verità. Insomma, non tutto era stato chiarito e soprattutto Cuffaro non aveva dato il suo contributo alla chiarezza.

Per Miceli è andata diversamente. È un dato di cronaca e non il tentativo di accostare oggi due vicende giudiziarie che in passato erano state intrecciate. Il Tribunale di sorveglianza della Capitale ha accolto la richiesta di Miceli che da due settimane è di fatto un uomo libero. Libero di muoversi, di lavorare, di incontrare chiunque voglia. Su di lui vigilano, appunto, i servizi sociali. Ha scelto di rimanere a Roma, ma sul suo attuale lavoro preferisce non dire nulla. Vuole che la sua vita privata oggi resti riservata.

Le porte del carcere si sono riaperte diciannove mesi dopo che la sentenza divenne definitiva. Era il 20 dicembre 2012. Miceli fu condannato a sei e mezzo in Cassazione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il medico chirurgo ed ex assessore alla Sanità del Comune di Palermo ha fatto da trait d’union fra il capomafia di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, e l’ex presidente della Regione Totò Cuffaro, di cui Miceli è stato il pupillo. Il processo era tornato in Cassazione dopo che gli stessi supremi giudici avevano rinviato il dibattimento in appello.

Un rinvio solo per rideterminare la pena tenendo conto delle circostanze attenuanti generiche. In secondo grado, però, i sei anni e mezzo erano stati confermati. E la Cassazione scrisse la parola fine al processo, respingendo non uno ma due ricorsi: quello contro il concorso esterno e quello sulla base del quale, secondo Miceli, nel suo procedimento erano stati commessi degli errori materiali. Per Miceli si aprirono le porte del carcere. Si consegnò a Rebibbia, proprio come Cuffaro. L’ex assessore in carcere c’era già finito il 26 giugno 2003 e ci rimase, anche allora, 19 mesi in custodia cautelare. Fra la pena già scontata e gli sconti di pena che spettano ai detenuti per buona condotta gli restano da scontare circa due anni. Lo farà non in carcere, ma ai servizi sociali.


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