PALERMO – “… Che le ceneri le disperda il vento vicino al mare…”
Non ricordo quale poeta si sia consolato così, dopo aver provato il più grande dolore della sua vita, ma questo verso mi è salito alla mente subito dopo il triplice fischio di Giannoccaro, l’ennesimo mediocre arbitro mandato a dirigere una partita del Palermo, cruciale e determinante come tutte le ultime dieci: la sconfitta segnava in pratica la retrocessione del Palermo eppure dagli spalti tutti, e non solo dalle curve, si levava un lungo, intenso, commovente applauso. E mentre da altre parti del pallone, se si retrocede, si assiste a scene da film western con giocatori presi d’assedio prima in campo e poi fuori, a Palermo c’è un pubblico così evoluto e sportivo che, dopo aver reso onore ai meriti della squadra avversaria, che lo ha spedito in serie B, tributa ai propri giocatori un coro meraviglioso, gli dice grazie alla sua maniera, che è poi la più suggestiva maniera possibile per dire sempre e comunque. “Ti amo”, ovvero “Forza Palermo, oggi, domani, sempre”. Quel verso era la mia consolazione privata, con quel verso mi dicevo: “In fin dei conti noi, tifosi palermitani, abbiamo vinto, dimostrando in lungo e in largo, in una stagione maledetta come quella che si sta chiudendo, di essere un pubblico da serie A, ed anche meglio. Il Palermo va in serie B, ma ci va con onore e dignità, dopo una prestazione gagliarda, nella quale ha sempre inseguito il risultato e contro un avversario fortissimo, che ha vinto le ultime sei partite di seguito, giocando un calcio spettacolare e tatticamente perfetto.
Nulla da rimproverare, quindi, ai giocatori rosanero, se non i loro limiti tecnici, che sono quelli che tutti conosciamo e che, con “Sannino2”, con l’impegno, lo spirito di sacrificio e la determinazione, sono riusciti spesso a superare. Mi ha consolato il pensiero di far parte di un popolo veramente sportivo, che accetta le sconfitte e riconosce i meriti dell’avversario, che gliele infligge; di un popolo che sta sempre vicino alla sua squadra, soprattutto nei momenti difficili, cosa che non si verifica spesso nello strano mondo del tifo, nel quale vige una regola strana: quella di delirare per la propria squadra solo se vince. E se invece perde, e perde malamente com’è successo spesso al Palermo di quest’anno, abbandonarla al suo destino e coprirla di insulti, fischi e cori di scherno. A Palermo questo non è mai successo, se non in sporadici momenti di aspra ribellione a un andazzo che indicava il disastro imminente, tipo le sconfitte interne con Atalanta e Siena: ma solo a partita finita e dopo avere incitato la squadra per tutti i novanta minuti. E sì che quella non era una squadra vera, non c’era la giusta e necessaria cattiveria agonistica, non c’era, soprattutto, lo spirito di gruppo, quello che in un gioco di squadra qual è il calcio, può far superare tutte le difficoltà, anche quelle derivanti dai propri limiti tecnici. Se un pubblico, così subisce la pena peggiore – la retrocessione – eppure non dà in escandescenze, non cede a nessun impulso violento, beh io dico come quel poeta: “Che le ceneri le disperda il vento, vicino al mare”, perché così, subito dopo la sconfitta si rinasce, si riprende il cammino e si torna là dove si merita veramente di stare: in serie A. Anche se resta l’amaro in bocca per come viene interpretato lo sport dagli altri, che se ne infischiano delle regole “decoubertiniane”, cioè del partecipare sempre con solare lealtà, cioè senza trucchi e senza inganni, com’è successo invece all’Olimpico di Torino, dove granata e rossoblù genoani si sono divisi la posta in palio, senza neanche salvare la faccia. Al punto che Ballardini, allenatore dei Grifoni, a fine partita, intervistato da Sky, ha dichiarato, non so dire se ingenuamente o spudoratamente: “Genoa e Torino si sono regolati in base al risultato del “Barbera” e visto che il Palermo perdeva…”. Signori, se è sport questo, io – e quel poeta – siamo di un altro mondo e, per quanto mi riguarda, la cosa mi sta bene: meglio perdere con dignità che fare manfrine e trucchetti per fregare il prossimo.
So che queste ultime mie parole faranno sganasciare dalle risate i soliti buontemponi, che non si staccano mai un istante dalle cose terrene e guardano solo ai fatti e i fatti dicono che il Palermo va in B perché è scarso, ha una squadra debole; perché il suo presidente ne ha combinato di tutti i colori, ha cambiato quattro volte allenatore (e pure cinque, visti i due ritorni di Gasperini e Sannino e le tre settimane di Malesani) tre volte direttore sportivo e, soprattutto, falcidiato questa estate la squadra, vendendosi i pochi veri giocatori rimasti dalla scorsa stagione, senza sostituirli adeguatamente. Tutto vero, com’è vero che un errore clamoroso – forse il peggiore dell’intera sagra degli sbagli zampariniani – sia stato ricorrere ad uno come Lo Monaco ed avergli dato per due-tre mesi le chiavi della società e del mercato di gennaio, quello che avrebbe dovuto rimediare al “non mercato” di agosto. L’ex amministratore delegato del Catania si è gettato a capofitto nel suo nuovo ruolo, 24 ore su 24 al servizio del Palermo, ha pescato, come ha fatto per anni per Pulvirenti, nel mercato argentino, prelevando una decina di giocatori del tutto sconosciuti e, comunque, quasi mai impiegati nelle rispettive squadre di provenienza. Dimenticando così, una regola fondamentale: che servivano giocatori pronti a scendere in campo per dare una mano ad una squadra già in odore di retrocessione. E invece arrivavano i vari Sperduti (mai visto in campo), Boselli, Formica, Fabbrini, Nelson, Anselmo, non in grado di dare anche il minimo contributo alla causa rosanero.
Mi resterà impressa, chissà fino a quando, nelle pupille la scena finale di capitan Miccoli a fine partita, inginocchiato con la testa tra le mani, l’unico rimasto in campo, quando la squadra era già scivolata nel tunnel degli spogliatoi e dopo il lungo e caldo applauso di tutto lo stadio: gli si erano avvicinati, a sussurrargli qualcosa all’orecchio, anche gli avversari, a cominciare da Brkic e Muriel. Poi è arrivato Sannino e il loro lungo, forte abbraccio mi è sembrato più di un gesto consolatorio: mi è sembrato come un arrivederci a presto, anche in serie B, per riprendersi alla grande lo scenario che in effetti meritano: la serie A.