Mio figlio e l'aeroporto | Abbasso i taccagni! - Live Sicilia

Mio figlio e l’aeroporto | Abbasso i taccagni!

Le file di chi non parcheggia. Non sanno cosa si perdono.

Manovra a Tinaglia
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3 min di lettura

Un po’ mi vergogno a raccontarvelo. Ma, la prima volta (saranno stati 8-9 mesi fa) che ho visto una lunga fila di autovetture parcheggiate lungo la corsia di emergenza in prossimità del Falcone-Borsellino, ho pensato che doveva essere accaduto qualcosa. Pensate, stavo quasi per accodarmi. Non l’ho fatto perché non avrei saputo come affrontare i passi successivi. “Cosa faccio?” mi sono detto, “scendo e chiedo a quello che mi sta davanti perché mi sono fermato, col rischio che mi prenda per idiota”? O gli chiedo perché si è fermato lui col rischio che mi mandi a quel paese?”

E’ stato per questo che ho deciso di andare comunque avanti con, cucita addosso, la sgradevole sensazione che no, non era possibile che tutti fossero improvvisamente rimbecilliti. Tutti tranne me. Insomma, andavo incontro all’ignoto. Guardavo dallo specchietto retrovisore nella speranza di vedere qualcuno che mi sorpassasse, ma nulla da fare. Ennesima, sconfortante conferma della inossidabilità della legge di Murphy Solo quando sono arrivato a destinazione ho capito. C’era uno dei tanti tassisti, ma non gli ho fatto una domanda diretta. “Ha da accendere?” Mentre lui tirava fuori il suo accendino, gli ho chiesto se aveva notato tutte quelle automobili ferme con le quattro frecce accese. Però con ostentato distacco, quasi stessi constatando una elementare ovvietà, dando per scontato che stessero assistendo a qualcosa di interessante. E’ stato il suo commento a sciogliere quello che per me era un autentico mistero.

Sto parlando di quelli che pur di non pagare il parcheggio, attendono in autostrada l’arrivo di un volo. Qui non c’entrano, almeno per quanto mi riguarda, le riflessioni (che pur sarebbero doverose) sulla taccagneria o sulla oggettiva pericolosità di tali comportamenti Il fatto è che io proprio non riesco a capirli.

Mi capita spesso di andare in aeroporto, quando arriva mio figlio che lavora all’estero. Arrivo sempre con largo anticipo. La ragione ufficiale è che sono un tipo ansioso e temo sempre gli imprevisti. La verità è che mi piace l’attesa. E’ solo quella, l’attesa, che mi consente di scoprire e di cogliere le mille sfaccettature di questa sorta di mondo parallelo che vive e palpita all’interno dell’aeroporto. Lo so, sono un provinciale, ma tutto, quando sono lì dentro, mi sembra come pervaso da una luce diversa. Le assistenti di volo, per dire, quelle mi incantano. Le vedo procedere a passo quasi marziale con le loro divise mentre trainano i loro trolley. Non lo sono, non tutte lo sono, ma le trovo bellissime, tutte. Guardate, riesco pure a trovare giusti, equi, i prezzi stratosferici dei panini che vedo esposti ai banconi del bar. Credo che dipenda dai loro nomi. Bufalino, Apollo, Rustichella, Camogli . Mi affascinano.

E poi, ma qui il provincialismo non c’entra nulla, c’è il gate degli arrivi. E’ lì che l’onda emotiva mi travolge. Ci sono momenti in cui gli atterraggi si susseguono l’uno dietro l’altro, e le porte scorrevoli hanno un ritmo incalzante. A turno distribuiscono a tutti l’opportunità di intravedere un frammento della persona tanto attesa che è lì, dietro le porte, ad osservare il​ nastro dei bagagli, la sua esasperante lentezza. E’ un materializzarsi a tratti, una sorta di gioco birichino ed anche un tantino manigoldo. Ma lo trovo autenticamente democratico. Poi è tutto un venirsi incontro, baci, abbracci. “Tutto bene? è andato bene il volo? Vieni, andiamo a casa”. E mi piace immaginare che a casa troveranno una tavola imbandita piena di ogni ben di dio. Mi vengono pure i lucciconi agli occhi, quando ad incontrarsi sono un lui e una lei. Si abbracciano, si baciano appassionatamente. “Che bello ragazzi”, penso. “Forza ancora un po’ di pazienza, e a casa finalmente potrete darci dentro come se non ci fosse un domani”.

L’attesa, solo l’attesa può regalarmi questi momenti. Non me li perderei mai. L’ultima volta ho pagato sei euro di parcheggio. Lo so con certezza perché si poteva pagare solo col bancomat. Sei euro, sei fottutissimi euro per aspettare di leggere sul tabellone la parola più bella che esista al mondo, quando sei in aeroporto ed aspetti la persona che ami. “Landed”. Ne valeva la pena. E’ arrivato mio figlio. Abbasso tutti i taccagni.

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