PALERMO – “Mi si chiede perché non mi dimetto? Rispondo con enorme franchezza: anche se non me lo impone il nostro codice etico, che io stesso ho voluto particolarmente restrittivo, lo avrei fatto se non fossi convinto che ‘togliendo il disturbo’ farei un enorme favore alle mafie e ai colletti bianchi collusi e conniventi, finendo con l’abbandonare tutti quegli imprenditori che hanno lottato con me per rendere la Sicilia una terra ‘normale’ e i colleghi che ho sostenuto e indirizzato verso le istituzioni”. È un passaggio del lungo intervento che Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia indagato per concorso esterno alla mafia sulla base di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, affida alle colonne del Corriere della Sera, sulle quali ieri Paolo Mieli aveva auspicato che l’imprenditore nisseno si facesse da parte affrontando “la sua vicenda giudiziaria senza coinvolgere l’organizzazione che rappresenta”.
“In questo anno è stato detto di tutto”, scrive Montante, “sono stato descritto come un personaggio discutibile (e da chi? E perché?), utilizzando strumentalmente la notizia di una indagine a mio carico per concorso esterno a favore di quegli stessi personaggi mafiosi che ho contribuito a colpire duramente sia sotto il profilo della libertà personale che dell’illecito arricchimento. Personaggi, quindi, dai quali è possibile aspettarsi ogni forma di reazione calunniosa, come insegna la storia”. “Posso garantire, intanto, che, assieme alle altre associazioni, individueremo ulteriori anticorpi per evitare che, in malafede, venga utilizzata la denuncia contro i mafiosi per coprire ulteriori illeciti affari. Non avrei potuto prevedere tutto questo, anche se già dal 2011 era risaputo esserci una strategia, con dossier prefabbricati, per colpire Confindustria Sicilia e i suoi vertici, perché più volte denunciato da varie articolazioni delle istituzioni e dalla stessa Autorità giudiziaria”.
“Da più di vent’anni – conclude la sua lunga lettera Montante – ho affidato alle istituzioni e alla magistratura la mia incolumità fisica, vivendo sotto scorta. Una sorta di «concorso esterno» allo Stato. Oggi, con la stessa fiducia, metto nelle mani della magistratura le oltre 1.200 pagine, con migliaia di documenti istituzionali allegati, che raccontano la storia della mia vita, dal 2004 monitorata costantemente dalle Forze dell’ordine”.
Montante rompe così dopo mesi il silenzio sull’indagine che lo riguarda. Lo fa a seguito del commento pubblicato ieri dal quotidiano di via Solferino a firma dell’ex direttore Paolo Mieli. Nel suo articolo Mieli, soffermandosi sulla doppia faccia dell’antimafia, che in Sicilia e altrove in più di una occasione è servita anche per coprire il malaffare, chiedeva al presidente uscente di Confindustria Giorgio Squinzi di “convincere il suo proconsole in Sicilia Antonello Montante — grande sostenitore della lotta a Cosa Nostra ma da oltre un anno indagato per concorso esterno in associazione mafiosa — a farsi da parte. E, nel contempo, ad abbandonare l’ingombrante incarico di delegato «per la legalità» di tutti gli industriali italiani”.