Morta dopo un esame a Zurigo | "Giustizia per i nostri figli" - Live Sicilia

Morta dopo un esame a Zurigo | “Giustizia per i nostri figli”

Enza Petta, morta a 38 anni dopo un esame effettuato in Svizzera

La biopsia in un ospedale svizzero, poi il decesso. Il marito: "Enza uccisa dalla superficialità".

Palermo - il caso
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PALERMO – Enza amava i fiori. Li vendeva ogni giorno nel suo negozio, in Svizzera. Si era trasferita lì cinque anni fa, insieme al marito e ai suoi tre figli. Ultimamente Roberto aveva anche aperto un ristorante, “un angolo di Sicilia nel cuore di Volketswil”, dicono i giornali di Zurigo. E un anno fa la coppia aveva avuto un altro figlio. Due palermitani quasi quarantenni per i quali tutti i sogni si stavano avverando. “Vivevamo in una favola”, dice Roberto Tuzzolino, che oggi si ritrova a fare i conti con una realtà dolorosissima. Dal 22 marzo affronta la sua vita senza la moglie, stroncata a 38 anni da un male incurabile che, in base a quanto racconta, sarebbe stato diagnosticato troppo tardi.

Al punto da costare la vita alla giovane Enza, mamma di quattro bambini che ha lottato con tutte le sue forze, fino all’ultimo, contro quella che era stata inizialmente definita come una polmonite. L’incubo, sfociato in una denuncia in Procura, comincia a gennaio, quando si manifesta una tosse preoccupante. “Mia moglie tossiva in continuazione, aveva la febbre alta – racconta Tuzzolino -. Dopo aver notato la presenza di sangue ci siamo recati dal nostro medico di base, eravamo preoccupatissimi. Dopo una prima visita le ha detto di fare gli esami di routine, un emocromo completo. Con questo medico abbiamo in tutto avuto due incontri: dopo il primo le erano state prescritte delle gocce per la tosse, dopo il secondo gli antibiotici, visto che in base alla radiografia da lui effettuata era stata diagnosticata una polmonite batterica. Enza non mangiava, la terapia non faceva effetto e perdeva continuamente peso. Siamo quindi tornati dal medico, abbiamo trovato una sostituta che ha prescritto antibiotici più forti, ma dopo tre giorni la situazione non era cambiata”.

E la paura aumentava. Enza Petta e il marito vengono quindi indirizzati da uno specialista, uno pneumologo che esegue una nuova radiografia. “Con i risultati degli esami ci rechiamo in ospedale – continua Tuzzolino – dove mia moglie viene sottoposta ad ulteriori accertamenti, tra cui altri esami del sangue. La visita è durata almeno quattro ore, dopo le quali la polmonite viene definita “virale” e non più batterica. Ci precisano che gli anitibiotici assunti fino a quel momento erano inutili, perché non adatti. Era l’otto marzo, da allora mia moglie non si è più ripresa. La situazione è peggiorata progressivamente, fino al 21 marzo, quando ho deciso che mia moglie doveva essere ricoverata. Non potevamo più affidarci a mille ipotesi – aggiunge – siamo quindi andati all’ospedale “Zollikerberg”, dove ad Enza viene fatta una Tac. Soltanto in questo modo abbiamo saputo l’amara verità, quella che non avrei mai voluto sentire”.

A quel punto Tuzzolino è infatti stato raggiunto da quattro medici: “Mi tremavano le gambe, non potevo credere che mia moglie avesse un male incurabile. Quando ho saputo che a ridurla così era stato un tumore ai polmoni sono uscito da quell’ospedale disperato, piangendo, avrei voluto urlare”. Una realtà dura da accettare, ma di fronte alla quale marito e moglie si sono uniti, dandosi coraggio a vicenda. “Enza aveva paura, tanta paura – racconta -. Ma mi diceva che ce l’avremmo fatta. Volevo portarla a Palermo, ma ha deciso che voleva rimanere lì, anche perché ci avevano detto che era operabile”. Bisognava però prima effettuare una biopsia. Petta viene quindi ricoverata e l’indomani, il 22 marzo, viene eseguito l’esame. “Dopo una notte insonne, trascorsa tra una tosse terribile, sciroppi e pillole, l’hanno trasferita in una stanza, su una lettiga. Mi avevano detto che per la biopsia non sarebbe trascorso molto tempo e invece, dopo tre quarti d’ora non avevo ancora alcuna notizia”.

Soltanto poco prima delle 13 a Roberto Tuzzolino è stato riferito che la moglie aveva avuto una emorragia e che era stata trasferita nel reparto di Terapia intensiva. “Ho visto gli infermieri che correvano con le bombole d’ossigeno, nella stanza in cui avevano effettuato l’esame non c’era l’attrezzatura adatta. Poi, per arrivare al piano terra, era chiaro gli ascensori non fossero adeguati. Mia moglie, in un minuto e mezzo non c’era più. E’ morta così, senza le giuste cure, trattata con superficialità. Io e i miei bambini vogliamo giustizia, pretendiamo di sapere cosa le è successo e perché la tac non è stata effettuata prima su indicazione dello specialista. E’ stato proprio lui ad incontrarmi, quel giorno, fuori dall’ospedale. Mi ha chiesto come stava mia moglie, gli ho detto che era morta. Lui mi ha risposto “Forse avrei dovuto fare qualcosa di più, ma non l’ho fatta”. E queste parole, da allora, non mi danno pace”.


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