ROMA- Il presidente della Repubblica non ha preso alcuna decisione sulla deposizione che dovrebbe rendere al processo sulla trattativa Stato-mafia. Il Colle, in una nota giunta in serata, precisa il senso della lettera inviata ai giudici palermitani, che celebrano il dibattimento, il 31 ottobre e depositata ieri in cancelleria a disposizione di accusa e difesa, sgomberando il campo da interpretazioni di stampa ritenute errate.
Con la missiva – precisa il Colle – “si è ritenuto doveroso offrire all’organo giudicante elementi di fatto idonei a valutare più approfonditamente l’utilità della testimonianza del Capo dello Stato, la quale è stata ammessa dalla Corte stessa, a norma dell’art. 190 del codice di procedura penale, solo in quanto non manifestamente superflua o irrilevante”. ”La lettera inviata, pertanto, non preannuncia alcuna determinazione del Presidente a questo riguardo”, ribadisce il Colle. Che spiega di non avere mai espresso l’intenzione di non andare a Palermo per rendere una testimonianza, che “comunque dovrebbe, per espresso disposto di legge, essere acquisita – conclude la nota – nel luogo in cui esercita le sue funzioni, ossia al Quirinale”.
Nelle due pagine scritte ai giudici, che l’avevano citato su richiesta dei pm, insomma, Napolitano ha fatto presente soltanto che la sua deposizione in dibattimento non sarebbe utile. “Non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di fare se davvero ne avessi da riferire”, è scritto nella lettera in cui si chiede ai giudici una rivalutazione sulla citazione. La testimonianza Napolitano dovrebbe ruotare attorno alle preoccupazioni espresse dall’ex consigliere giuridico del Colle Loris D’Ambrosio, morto due anni fa, in una lettera inviata al capo dello Stato il 18 giugno del 2012. Amareggiato dai veleni seguiti alla pubblicazione delle sue telefonate con l’ex ministro Nicola Mancino, intercettato nell’inchiesta sulla trattativa, D’Ambrosio presentò le sue dimissioni a Napolitano con un’accorata missiva in cui negava di avere esercitato pressioni sulla gestione delle indagini. Uno sfogo in cui a un certo punto compare la frase che interessa i pm relativa a episodi del periodo 1989-1993 che preoccupavano D’Ambrosio e che l’avevano portato “a enucleare ipotesi, – scrisse – quasi preso dal timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”.
Parole apparentemente sibilline che si comprendono solo alla luce di quanto D’Ambrosio diceva a Mancino, nelle telefonate, sul periodo relativo alla nomina di Francesco Di Maggio, personaggio chiave nella trattativa secondo i pm, a numero due del Dap. Ma sul passaggio della lettera Napolitano non ha nulla da riferire, né – ha spiegato – “ho ricevuto in alcun modo da D’Ambrosio qualsiasi ragguaglio o specificazione” sui suoi timori e sulle sue ipotesi. Il capo dello Stato ha precisato inoltre ai giudici di non avere mai “interrogato” D’Ambrosio sul punto e di non essersi intrattenuto con lui su vicende del passato. La lettera del capo dello Stato sarà ora visionata dalle parti. Solo con l’accordo di tutti i soggetti del processuali potrà essere ammessa agli atti del dibattimento. E soltanto se finirà nel fascicolo del processo, la corte, dopo avere interpellato accusa e difese, potrà eventualmente tornare sui suoi passi e revocare la citazione del capo dello Stato.
(Fonte ANSA)