Narcotraffico al porto di Catania, come arriva ed esce la droga

Narcotraffico al porto di Catania, come arriva ed esce la droga

Il ruolo dei clan e i contatti con i calabresi

CATANIA – Centinaia di chili di cocaina in arrivo dal sud America che sbarcano a Catania. Una catena logistica che attraversa l’Atlantico e il Mediterraneo per arrivare allo Ionio, con la droga sempre sotto controllo e piani precisi per portarla al sicuro e poi iniziare a smistarla. La catena del narcotraffico internazionale ha a Catania una succursale attivissima. Il porto del capoluogo etneo è emerso diverse volte nelle inchieste delle forze dell’ordine come terminale d’arrivo della cocaina sudamericana.

La ‘ndrangheta e i clan catanesi

A gestire gli affari con i produttori sudamericani è la ‘ndrangheta, leader europeo del narcotraffico di cocaina. La quale usa di solito il porto di Gioia Tauro, dove a cadenza quasi mensile vengono sequestrati centinaia di chili di droga. Un posto su cui sono puntati gli occhi di tutte le forze di sicurezza italiane. Per questo i calabresi hanno deciso di diversificare le rotte, usando anche il porto di Catania come terminale di arrivo.

Le ‘ndrine calabresi usano uomini dei clan catanesi come referenti per assicurare che il carico sia ben nascosto e che poi sia prelevato, portato fuori dal porto e poi consegnato. A volte i catanesi chiedono della droga per sé, per poi iniziare a smistarla in giro per l’isola.

I movimenti dentro il porto

La chiave di tutto però è il porto, dove è necessario entrare e uscire in sicurezza, al riparo da curiosi e forze dell’ordine, per poter recuperare la droga nascosta nei container. Qui entra in scena un clan catanese, i Pillera-Puntina, a cui bisogna fare riferimento per gli affari nel porto. I Pillera-Puntina, secondo l’inchiesta della procura di Catania che nella primavera del 2025 ha portato agli arresti di sei persone, hanno i propri uomini in un’azienda di movimentazione merci e in questo modo riescono a gestire il flusso della droga all’interno della zona portuale.

Quando arriva a bordo di una nave la cocaina è nascosta di solito nel vano motore di un container refigerato, oppure in un doppio fondo saldato. Per recuperarla si deve quindi aprire il container senza fracassare i sigilli, recuperare il carico, affidarlo a un trasportatore fidato, farlo passare dalla barriera dell’area portuale, dirigerlo verso un magazzino o un altro luogo sicuro, cambiare posto alla droga e decidere gli ulteriori spostamenti.

Dal momento in cui entra al porto al momento in cui esce, ognuna di queste tappe è presidiata da un uomo dei Pillera-Puntina. Il clan prende una commissione del 30-40 per cento del valore della merce arrivata per la sua opera.

Gli incidenti e i sequestri

Non sempre le cose vanno lisce, però. Può succedere che per un errore nel porto di partenza il vano in cui è nascosta la droga sia difettoso, come quando arriva a Catania un carico da 106 chili di cocaina nascosto nel tetto di un container che però si stacca. Il clan avvisa subito i referenti e in città arriva un uomo dei calabresi, il quale a sua volta si mette in contatto con uomini dei Cappello.

In una catena di conoscenze tra clan, i Cappello contattano i Pillera-Puntina e riescono a entrare al porto, dove un uomo accusato di essere parte del clan, Angelo Sanfilippo, racconta di avere cercato di rimediare allo squarcio mettendo del nastro adesivo. Soluzione improvvisata ma che avrebbe potuto attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, per cui il figlio di Sanfilippo, Melino, decide di mettere un altro container sopra quello incriminato.

In questo modo però non si può recuperare la droga, a meno di non muovere di nuovo i container e dare troppo nell’occhio. Mentre i narcotrafficanti decidono sul da farsi però interviene il Gico della Guardia di Finanza. Il sequestro finale è di 106 chili di cocaina.

I malintesi e le intercettazioni

Altre volte sono gli spedizionieri sudamericani a sbagliare, per cui un carico di 60 chili di cocaina arriva a Salerno invece che a Catania. I due Sanfilippo però sono intercettati mentre parlano con un’altra persona coinvolta nelle indagini, Salvatore Fichera, preoccupati perché il carico in arrivo è nascosto in mezzo a frutta esotica. Anche se alla fine il carico arriva nel porto sbagliato i tre sono comunque indagati per l’organizzazione del movimento della droga nel porto di Catania.

Altre volte è la distrazione a danneggiare i narcotrafficanti. Uno di loro, Fichera, ha a disposizione un telefonino criptato per parlare con i suoi referenti calabresi. Attrezzature difficilissime da intercettare, a cui fanno ricorso sempre più spesso i calabresi.

Solo che un giorno Fichera lascia il telefono criptato a casa, proprio quando in città ci sono i grossisti di un altro carico di cocaina. Dunque fa una videochiamata con la moglie e le chiede di leggere i messaggi che appaiono nel telefonino criptato, permettendo in questo modo alle forze dell’ordine, che sono all’ascolto del telefono normale, di capire che si sta preparando un’altra spedizione e che gli organizzatori sono a Catania.


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