Siamo la Sicilia, terra di sole, mare, piccioli assicutati e imprenditori insagutati.
Da Niceta a Cavallotti, il buon Jannacci cantava di Silvano e di scuse plausibili, la magistrata Silvana prendeva spunto e sequestrava ch’era una bellezza.
Sia chiaro, non conosco Niceta, non conosco Cavallotti e non conosco nessun magistrato, nè con la O nè con la A. Conosco solo un principio: la legge è uguale per tutti, ma alcuni sono più uguali degli altri; e tra questi alcuni non ci sono sicuramente i Cavallotti tampoco i Niceta.
Sgomberiamo subito il campo dalle possibili sommosse da tastiera e le ineffabili reazioni infarcite di retorica: se Niceta o Cavalotti venissero dichiarati mafiosi da una sentenza passata in giudicato, prego buttare le chiavi.
Ma al momento non c’è nulla di tutto ciò. Al momento c’è solo un gruppo imprenditoriale (anzi due, anzi più) che è sul lastrico per presunte connivenze e dipendenti ormai ex da un bel po’.
Sgomberiamo un altro campo, su cui possibili battaglieri del colpevolismo di maniera potrebbero scagliarmi contro micidiali fendenti: se una sentenza definitiva dovesse dichiarare le aziende in questione incancrenite da un qualche illecito di tipo mafiologico e simili, prego buttare le chiavi dei negozi.
Però, buttarle durante la lunghissima e intrecciatissima vicenda giudiziaria e far finire un’azienda no, non è giusto. Questo non è diritto, è tutto alla rovescio.
E se domani venissero assolti con formula piena (cosa per esempio già accaduta ad un altro insagutato, il signor Lena dell’abbazia di sant’Anastasia)? Che facciamo? Chi gliela dà la forza a Niceta di riaprire i negozi? Nessuno, non può ridargliela nessuno. Si perché forse ai più sfugge il fatto che codesti imprenditori, ricchi, maledetti e socialmente pericolosi, non hanno mai subito una condanna penale, hanno solo subito la scure di una legge che consente ai Tribunali di disporre la misura di prevenzione su semplice base indiziaria.
Pur se ultroneo, precisiamolo: certo che lo Stato deve usare tutti i mezzi possibili e tutta la forza investigativa di cui dispone, per combattere il cancro della mafia. Ma il sequestro del patrimonio e tutte le misure preventive di questo mondo, così come adesso funzionano, sono spesso la terapia sbagliata d’una diagnosi frettolosa, sono la chemio che distrugge le cellule malate e anche quelle buone. La gravità di un malattia non può giustificare fino a questo punto la straordinarietà degli strumenti di contrasto e l’arbitrarietà di utilizzarli a diagnosi ancora in corso. Perché è questo il problema: la diagnosi, che talvolta poi (molto poi!) si rivela sbagliata.
No, non è vero, non è solo questo il problema. Ce n’è un altro: la sperequazione, il dislivello, la disparità tra le parti in causa. Perché ci vuole un attimo e una firma per sequestrare la tua anima e te la fanno sputare per dissequestrare e restituire, quando poi (molto poi!) qualcuno, sempre un giudice, gli dice che s’erano sbagliati. E poi dissequestrare, restituire che cosa? Un patrimonio ormai ridotto a scatola vuota? Un’azienda ormai fallita? No, non c’è più rimedio alla terapia sbagliata, c’è solo rabbia, impotenza e spalle allargate. E un morto da piangere.
E dire che non ci vorrebbe molto per lasciare che la giustizia faccia il suo corso senza, nel frattempo, calare le saracinesche dei negozi e il sipario su delle vite (perché di questo si tratta, fidatevi).
Basterebbe che i tempi dei processi diventassero rapidi o quanto meno normali e, cosa meno utopistica, che una legge riformasse il sistema che mette mano, ed entra a gamba tesa, nelle aziende: d’accordo, si nomini un commissario nell’attesa di accertare, magari rapidamente, che Niceta sia mafioso e Cavallotti pure, ma che sia un commissario il quale controlli da vicino l’operato dell’imprenditore e non che si sostituisca ad esso, come oggi accade; perché se con l’occhio del padrone ingrossa il cavallo con l’occhio del commissario il cavallo s’azzoppa, È sempre così.
E quando si azzoppa un’attività come quella dei Niceta o come quella dei Cavallotti, si azzoppa un pezzo dell’economia siciliana. Scoprire poi, a cavallo zoppo, che non c’entravano niente (se non c’entrano niente) è una tragedia per chi la subisce, ma anche una gran fregatura per tutti noi.
È proprio vero, la mafia fa schifo. È una montagna di merda che spesso partorisce inconsapevoli topolini, sacrificati nei labirintici laboratori della giustizia. Che deve trionfare sempre!