Nel processo per l’omicidio di Giovanni De Luca, avvenuto al Borgo Vecchio il 2 ottobre 2005, fa la sua comparsa per la prima volta Piero Sirchia. È stato coinvolto dal testimone chiave della vicenda, Fabio Nuccio, fratello di Nino – detto “Pizza” – ex braccio destro di Salvatore Lo Piccolo prima di pentirsi. Secondo Nuccio, Sirchia avrebbe concorso all’omicidio, per cui è stato condannato in primo grado a 21 anni suo cugino Giuseppe Pecoraro. Lo avrebbe accompagnato e gli avrebbe anche fornito la pistola. Ma Sirchia non è mai stato chiamato, né tanto meno, come conferma il suo avvocato, ha mai ricevuto un avviso di garanzia. Lui stesso lo dice alla Corte: “Me l’aspettavo che m’avreste chiamato”. Eppure la corte d’assise d’appello di Palermo lo ha sentito come “indagato di reato connesso”. Un piccolo mistero. Una scelta forse dettata da un’estrema cautela da parte della Corte che, nel dubbio che sia indagato o meno, lo ha fatto accompagnare dal suo legale e ha chiesto se volesse rispondere o meno. In ogni caso Sirchia mette il ferro dietro la porta. Racconta che quel giorno, un sabato, era a casa, stava male a causa di una sbornia presa la sera prima. Avrebbe appreso del delitto solo il giorno dopo, la domenica. Poi con Giuseppe Pecoraro, suo cugino, era in freddo: usciva con la sua ex ragazza e questa cosa non sarebbe andata giù a Sirchia.
La seduta ha poi visto il solito copione già presente in primo grado e, ormai, oggetto di un procedimento separato. L’omertà ferrea dei testimoni chiamati a parlare. La corte che, una volta in camera in consiglio, lo scorso dicembre ha deciso di non decidere e riaprire il dibattimento per ulteriori approfondimenti. È stato chiamato un testimone oculare di 17 anni. Quasi non parla, scuote la testa, alza le spalle. Eppure quando è stato chiamato dalla polizia, ha raccontato di “aver sentito un forte botto e aver visto Giovanni (De Luca, ndr) cadere giù”. Oggi dice: “L’ho detto perché l’ho sentito dire”. A questa frase aggiunge una lunga serie di “non ricordo”, alternandoli ai “non lo so”. Per qualsiasi domanda gli venga posta dalla Corte. “Sei stato da uno psicologo, quando?”. Risposta: “Non lo so”. La stessa alla domanda: “Sei andato a casa dei De Luca?”. Perché madre e sorella della vittima hanno parlato della presenza del ragazzino. Nel suo racconto, il giovane sostiene di essere passato dal luogo dell’omicidio per comprare un panino. Allora il presidente della Corte ci prova: “Ricordi il panino?”. Risposta: “Un cartoccio”. “Ah, questo lo ricordi. E Giuseppe Pecoraro era presente?”. Risposta secca: “No”. “Non sei sicuro di nulla, ma di questo sì?” prova ancora il presidente della Corte senza scalfire la corazza dietro la quale è chiuso il giovane. “Ricordi solo quello che vuoi ricordare” lo ammonisce il giudice che lo avverte del rischio che sta correndo. Poi si arriva all’apoteosi quando al ragazzo viene chiesto se, per andare verso casa sua, da via Principe di Scordia bisogna girare a destra o a sinistra. La risposta è: “Non lo so”.
Secondo la ricostruzione di Fabio Nuccio, De Luca sarebbe stato fatto fuori per aver preso le parti dell’ ex cognato Daniele Russo in un discussione avuta con Giuseppe Pecoraro. Lite avvenne davanti a centinaia di giovani. Ma nessuno ricorda nulla. Amnesia collettiva.