CATANIA- Ultima udienza d’Appello nel processo per l’omicidio della professoressa Antonella Falcidia, uccisa il 4 dicembre del 1993 con ventinove coltellate nel suo appartamento di via Rosso di San Secondo a Catania. Oggi è stato il giorno delle repliche della difesa, con l’intervento dell’avvocato Carmelo Galati, uno dei legali dell’imputato Vincenzo Morici. La prossima settimana è in programma la riunione in Camera di consiglio per la prima sezione della Corte d’Appello di Catania presieduta dal giudice Luigi Russo. Presente in aula, Morici ha seguito l’udienza come sempre accanto ai suoi avvocati. Tra loro, Carmelo Galati ha preso la parola per ripercorrere le ragioni della strategia difensiva, le stesse argomentazioni già confortate dalla sentenza di assoluzione emessa nel novembre 2011 dal Gip Maria Grazia Caserta.
“Manca il movente nelle tesi dell’accusa- ha spiegato il legale di Morici- perciò il Pg come i Pm ricorrenti non possono offrire alcuna ricostruzione probatoria credibile”. L’avvocato ha tirato in ballo i contributi dei prof. Bruno e Volpini, insieme ai molteplici dubbi sollevati sulla vicenda dal lavoro del giallista Carlo Lucarelli: “Sono interventi di cui abbiamo contestato l’utilità- ha detto il difensore di Morici- ma è bizzarro che ne sia stato ridimensionato il contenuto, dal momento che il decreto di riapertura delle indagini li indica come unica ragione giustificativa”.
Il riferimento è al febbraio 2007, quando la Procura di Catania decise di riaprire l’inchiesta che avrebbe portato di lì a poco all’arresto del marito della vittima a 14 anni dall’omicidio. Vincenzo Morici fu scarcerato 25 giorni dopo dal Tribunale del Riesame per mancanza di indizi. La decisione, successivamente confermata dalla Cassazione, diede adito due anni fa al ricorso in Appello, presentato dai Pm Renato Papa, Salvatore Faro e Andrea Ursino. Anche oggi sono state le tesi dei magistrati di primo grado il principale bersaglio delle critiche della difesa: “Come si può sostenere- ha ripetuto Galati- che la precisione chirurgica del taglio alla carotide costituisca uno dei principali indizi a carico dell’imputato? Chiunque ha potuto notare lo scempio compiuto sul corpo della vittima, con numerose coltellate che l’hanno attinta tangenzialmente senza mai penetrare”.
Su queste questioni il punto di riferimento dei difensori di Morici rimane la perizia del prof. Biagio Guardabasso. Lì riposerebbe l’alibi dell’imputato sullo stato di fluidità del sangue rinvenuto accanto al cadavere della professoressa.
Sotto i riflettori, ancora una volta, è finita l’ora di decesso della vittima. La prima perizia la aveva fissata alle 22,45, cioè ad un’ora e mezza prima dell’autopsia. In questo caso reggerebbe l’alibi dell’imputato che in quel momento, secondo i testi, si trovava in viaggio. Per la pubblica accusa, invece, il decesso risalirebbe ad un orario successivo, esattamente a quello più prossimo al rientro in casa di Morici.
Ma gli orari e le testimonianze incrociate dei colleghi dell’imputato non sono gli unici indizi esaminati oggi dai difensori. “La presunta scritta “E N Z”- ha affermato Galati- rinvenuta sul divano e attribuita a Morici appare da un confronto come ricopiata dalla grafia attribuita al mio assistito”. Proprio quelle macchie di sangue si rivelarono ad una ricostruzione fotografica prodotta dall’accusa vere e proprie lettere in stampatello che portarono alla riapertura del caso.
A chiuderlo proverà il sostituto procuratore generale Platania con la sua richiesta di 30 anni di reclusione. Spetterà a lui scegliere se intervenire lunedì prossimo in controreplica, oppure se lasciar subito spazio ad una sentenza destinata in ogni caso a far discutere.