“Quella di Trapani è una mafia sistemica, non si chiede il ‘pizzo’ ai commercianti, si chiede un ‘contributo’ o si chiede di essere inseriti nella produzione. È un sistema mutualistico che segue una rigida ortodossia dei comportamenti”. Giuseppe Linares dirige la squadra mobile di Trapani dal 1996. Ha condotto tutte le più importanti operazioni antimafia degli ultimi anni compresa anche l’operazione “Eolo”. E ha un’idea in testa: la mafia del Trapanese è profondamente diversa da quella di Palermo.
Così sono pochissimi i pentiti di mafia del Trapanese e Linares racconta come, invece, si è venuta a creare un’altra figura: i professionisti dichiaranti. “Noi non abbiamo collaboratori – spiega il capo della mobile – ma imprenditori che rendono dichiarazioni. In particolar modo i liberi professionisti”. Ma chi confessa è una vera rarità, perché i trapanesi “non parlano, è un dato di fatto, figlio del processo di secolarizzazione, della sacralità. Mafiosi trapanesi, intercettati, dicono: ‘Dentro questa macchina siamo tutti innocenti'”. Ma c’è anche una dose di umiltà rispetto ai ‘palermitani’. “È capitato nelle indagini – continua – di sentire i capimafia rimproverare chi si faceva vedere troppo. E l’invito era a non essere troppo appariscenti, ‘la gente vede e parla, qui dobbiamo mangiare tutti’ si raccomandava il capomafia”. Un processo che lo stesso Linares definisce di “mesmerizzazione”, come un’ipnosi che finisce per autoconvincere gli stessi mafiosi.
Ma la mafia di cui parliamo sta soprattutto nello strato medio della società. Un fenomeno sul quale non sono state accese abbastanza luci. “S’è fatto di meno perché se n’è parlato di meno. E mentre a Palermo sono arrivati i successi della magistratura e delle forze dell’ordine che hanno fatto dire come Cosa nostra fosse in difficoltà, a Trapani tutto è stabile”. Una mafia atavica che sa fare affari. “A Trapani la borghesia è permeabile molto più che a Palermo. La mafia vive nei salotti, nelle famiglie ed è sempre stato così”. Un’adesione a Cosa nostra vista come fatto ‘normale’ perché “la mafia è un catalizzatore sociale. È come appartenere a un club esclusivo: tutti lo sanno e per loro le porte sono sempre aperte”. Un organizzazione in grado di fare i conti a monte e di sapere dove spostare le sue mani, infiltrata così bene nei palazzo al punto di lavorare sugli stessi bandi che poi si aggiudicheranno. “Sanno quel che fanno. Per estorsione uno becca sette anni, per truffa al massimo arriva a due. Qui la mafia parla con i sottosegretari, fa spostare prefetti, ammazza in modo diverso. In una precedente indagine è stato scoperto come alcuni boss volevano fare fuori una persona, ma non sparando, dicevano ‘vediamo come possiamo mascariarlo’. Un sistema che funziona per sottoinsiemi legati da punti di convergenza al punto da esserne invasa la società tutta”.
Ma gli inquirenti non sono stati con le mani in mano e Linares snocciola i risultati: “Quattro aziende di calcestruzzi su 4 sequestrate a Trapani; undici stazioni appaltanti indagate; due deputati regionali e un vicepresidente della Regione arrestati. Abbiamo scoperto gli interessi della mafia nell’agricoltura, nel turismo, nella grande distribuzione, negli appalti e ora anche nell’eolico”. E una sensazione, confessa Linares: quella di essere accerchiati. “Qui c’è un rigido controllo del corpo sociale, anche il preside della scuola, per dire, potrebbe essere un mafioso ma non si sa”. Ma il capo della mobile tiene a specificare che non si vuole criminalizzare l’intero sistema produttivo trapanese anche se l’andazzo sembra quello descritto dalle parole di un mafioso che lui stesso cita: “Fino a quando ci sarà una donna a figliare questa cosa non finirà mai”. E a questa espressione, invece, si può contrapporre la risposta di Giuseppe Linares a Carlo Azeglio Ciampi, ai tempi presidente della Repubblica, in visita a Trapani: “Presidente, è come il film ‘Fuga per la vittoria’: stavamo perdendo tre a zero, ora siamo tre a tre e il pubblico sta cominciando, timidamente, a fare il tifo per noi”.
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