“Forse sembrerà inaspettato, ma questo è un progetto che ho da molto tempo, non è una decisione d’impulso. Entro massimo 10 giorni morirò”. Noa Pothoven ha affidato ai social network le sue ultime parole di dolore. Noa era una 17enne di Arnhem, nei Paesi Bassi, e portava dentro era il macigno di tre episodi di abusi vissuti a 11, 12 e 14 anni. Secondo quanto sappiamo, dopo una serie di voci che si sono rincorse, si è lasciata morire, smettendo di nutrirsi e venendo seguita nel suo rifiuto delle cure da un gruppo di esperti, dopo una richiesta di eutanasia non esaudita perché considerata troppo giovane.
Le cure palliative somministrate alla giovane olandese hanno accompagnato il suo addio, ma lei era in grado di intendere e di volere. Il ministero della Salute olandese ha avviato un’ispezione sanitaria sul tipo di cure ricevute da Noa, che si trasformerebbe in indagine ufficiale qualora venissero riscontrati errori o anomalie; sembra essere fuori discussione, comunque, il dilemma sulla legittimità o meno di quanto accaduto: la legge olandese lo consente, non inquadrandolo nemmeno come un procurare una morte serena bensì come un’assistenza nell’affrontare il rifiuto alle cure.
Il caso ha rimesso in discussione alcuni trattamenti di fine vita sui quali significati e motivazioni si dibatte da tempo in tutta Europa. Né sono mancate le polemiche sulla successione delle notizie. “L’eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza”. Questo il commento di Papa Francesco.