PALERMO – “Ottima scelta”, ha detto il procuratore Francesco Lo Voi quando ha saputo della nomina dei suoi nuovi quattro aggiunti. Di certo le scelte che attendono la ratifica dal Plenum – si parte da una proposta all’unanimità – segnano la fine di una stagione giudiziaria. Rappresentano l’onda lunga della nomina, avvenuta due anni fa, dello stesso Lo Voi, allora preferito a Sergio Lari e Guido Lo Forte. Le due correnti più rappresentative del Csm – la sinistra di Area e i centristi di Unicost – erano rimaste ciascuna sulla propria posizione. E alla fine il candidato della corrente minoritaria e più conservatrice (Magistratura indipendente) aveva raccolto l’appoggio di tutti i consiglieri laici. Passava la linea di rottura con la precedente gestione della Procura, segnata dalle fibrillazioni. Non era un caso che Lo Forte, pm dei processi Andreotti e Dell’Utri, era stato indicato da Antonio Ingroia come il migliore dei candidati. L’ex aggiunto di Palermo, affascinato dalla politica prima e nominato da Rosario Crocetta poi, riconosceva a Lo Forte il merito di essere stato “uno di quelli che ha pensato l’indagine sulla trattativa Stato-mafia”.
Il clima di oggi, seppure attraversato da alcune polemiche (su tutte quelle che riguardano il posticipato trasferimento di Antonino Di Matteo alla Direzione nazionale antimafia) non è più quello avvelenato di un tempo. Che sia una Procura profondamente diversa si capisce innanzitutto dalla presenza di Paolo Guido tra i quattro nuovi aggiunti. È il magistrato che nel 2012 non firmò l’avviso di conclusione delle indagini sulla Trattativa, l’inchiesta che della Procura targata Francesco Messineo- Antonio Ingroia è stato il fiore all’occhiello. Di più, il simbolo dell’Antimafia che si candidava e si candida a riscrivere una pagina della storia italiana. Guido ebbe il torto o il merito (a ciascuno il proprio punto di vista) di guardare, solo ed esclusivamente, alle prove processuali. E per lui con le prove raccolte assieme ai colleghi non si andava da nessuna parte. Il pm lasciò volontariamente il pool inquirente. Restò fermo sulle sue scelte, a differenza di Messineo che superò le iniziali perplessità. Il procuratore, infatti, non aveva firmato l’avviso di chiusura delle indagini, ma ci ripensò quando venne il momento della richiesta di rinvio a giudizio.
Tra firme mancanti, negate e infine apposte c’è la turbolenta storia di un processo voluto con forza da Antonio Ingroia, quando quest’ultimo forse sapeva già che non lo avrebbe celebrato. Da allora di cose ne sono accadute: le assoluzione di Calogero Mannino e Mario Mori, il conflitto di attribuzione sollevato e vinto da Giorgio Napolitano, la credibilità in frantumi del super testimone Massimo Ciancimino. Guido ha continuato a lavorare su altri fronti, dalle ricerche di Matteo Messina Denaro alle cosche trapanesi, fino alle inchieste “minori” (truffe incluse). Ora la Commissione incarichi del Csm lo propone come aggiunto.
Cinquantenne fra i cinquantenni. Ed ecco un’altra caratteristica – l’età anagrafica media si abbassa – dei nuovi vertici della Procura di cui farà parte anche Sergio Demontis. A lui si devono le indagini su potenti mandamento mafiosi – Bagheria, Santa Maria di Gesù e Corleone – ma anche tante inchieste sulla pubblica amministrazione: il caso Ciapi, le spese pazze dei parlamentari siciliani, lo scandalo della malagestio della Fondazione Federico II che ha portato alla condanna definitiva dell’ex deputato Alberto Acerno, gli assenteisti scovati fra i dipendenti di troppi uffici pubblici e le furberie dei burocrati.
Marzia Sabella, assieme al pm Michele Prestipino, vanta una stelletta al merito di quelle che pesano: partecipò alle indagini che portarono all’arresto di Bernardo Provenzano. Attualmente è consulente della Commissione parlamentare antimafia, ma un decennio fa era nel pool investigativo coordinato dall’allora procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone. Pignatone che era stato battuto da Messineo per la corsa alla Procura di Palermo. Dopo avere arrestato Provenzano, sequestrato una parte del tesoro di don Vito Ciancimino e istruito il processo (assieme al sostituto Maurizio De Lucia ora designato procuratore capo di Messina) che avrebbe portato alla condanna di Totò Cuffaro, Pignatone scelse l’”esilio” a Reggio Calabria. In terra calabrese si è guadagnato sul campo la nomina a procuratore di Roma. Dunque, capo dell’ufficio inquirente più importante d’Italia dopo averci provato invano in Sicilia.
Completa il quadro dei nuovi aggiunti Ennio Petrigni. Dopo anni alla Procura, recentemente è entrato a far parte della Direzione distrettuale antimafia. È il simbolo di un modo di lavorare silenzioso e attento, lontano dalle polemiche e refrattario alla ribalta mediatica. Ha partecipato alle recenti indagini sui clan mafiosi di Brancaccio e di una grossa fetta della provincia palermitana. Contemporaneamente ha condotto indagini su tanti casi di malasanità, sul crollo di via Bagolino dove persero la vita quattro persone, sull’omicidio del benzinaio di piazza Lolli, Nicola Lombardo. Ed ancora le inchieste sui soprusi e gli abusi subiti dalle vittime innocenti e quelle sui pezzi di una città antica e malandata che vengono giù per l’incuria.
Guido, Demontis, Petrigni e Sabella saranno i quattro nuovi aggiunti (è lecito e naturale attendersi il ricorso di qualche scontento). Sarà Lo Voi a scegliere quali deleghe assegnargli. Prenderanno il posto di Leonardo Agueci che sta per andare in pensione, Maurizio Scalia, e di altri due nomi storici di una lunga stagione giudiziaria: Maria Teresa Principato e Vittorio Teresi.