Non c'è sempre Sant'Andrea| Giustizia per il Lanciano - Live Sicilia

Non c’è sempre Sant’Andrea| Giustizia per il Lanciano

Nel pareggio contro il Lanciano c'è la grandezza del calcio. Una partita dominata dagli abruzzesi in lungo e in largo che i rosanero stavano per portarsi a casa, poi il gol di Turchi. Non ci si può sempre affidare alla gioventù di Belotti.

Il processo al Palermo
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PALERMO – Alla fine c’è giustizia anche nel calcio, che è lo sport più strambo e pazzerello che esiste al mondo, l’unico nel quale, almeno una volta nella vita, pur sapendo di essere il più debole si può seriamente pensare (non solo sperare o sognare) di battere il più forte. Ieri stava accadendo proprio questo: che il Palermo, per novantaquattro minuti più debole rispetto all’arrembante, furioso Lanciano, stesse vincendo ugualmente la partita. Anzi, che l’avesse già vinta se all’ultimo istante dei tre minuti di recupero, concessi dall’arbitro Pinzani, il neo entrato Turchi non avesse trovato il pareggio con l’unico tiro dell’intera partita, scoccato nello specchio della porta di Ujkani. E che tiro, amici lettori, un tiraccio di punta, tipo calcio a cinque, con la palla che gli schizzava prima sulla coscia e poi sul braccio e in quell’attimo fuggente che è il filo del fuori gioco, che è un’ombra, che è un’impressione. Qualcosa che c’è e non c’è, a seconda della prospettiva da cui si guarda la scena, che dura niente (un battito d’ali dura molto di più) e in quel niente Turchi si infila come una freccia, travolge l’irrompente Morganella e scarica in rete tutta la rabbia di una squadra, che aveva battagliato con ardore senza mai fermarsi e, tuttavia, senza cavare un ragno dal buco.

C’è giustizia anche nel calcio. Finisce 1-1 e ad esser contento è solo il Lanciano che fa festa come avesse vinto il campionato, mentre i rosanero sembrano tanti cani bastonati, che non hanno quasi neanche la forza di andare sotto la curva e salutare i 30-40 tifosi arrivati sin lì, bandiere al vento e un tifo incessante fino all’ultimo respiro. E, su tutto, uno striscione che è più di una dedica appassionata, sul quale sta scritto, a caratteri cubitali: “UNICO AMORE”. Ecco, io che al 94’ mi son sentito derubato di una gioia che mi sembrava ormai inattaccabile ed ero solo davanti alla tv, io capisco come si saran sentiti quegli indomiti tifosi sugli spalti del vezzoso stadio “Guido Biondi” di Lanciano: io ho sentito uno strappo al cuore e un moto di ribellione (“No, non può essere vero!”) e loro? Loro, che la partita l’hanno vissuta di persona, che erano lì ad assistere alle scene di delirio non solo sul campo ma soprattutto sugli spalti, loro quel gol di Turchi l’avranno sicuramente preso come una beffa atroce, anzi come un’ingiustizia, un’assurda, crudele ingiustizia. Perché così è il tifoso: gli basta che la sua squadra vinca comunque, se ne infischia del bel gioco, di chi merita di più o di meno, anche perché, per com’è fatto, a meritare sempre comunque e dovunque è solo la sua squadra del cuore. I ragionamenti, le analisi, le critiche, i distinguo sono roba del “poi”, almeno del giorno dopo, quando i giochi sono fatti e nessuno li può più cambiare. Ecco, questo ho pensato, subito dopo l’amarezza feroce provata al gol, di Turchi, ieri, guardando in quel rapidissimo volo d’uccello della telecamera, che li inquadrava, i 40 tifosi rosanero, su quella curva e non sembravano neanche fatti di carne e d’ossa, perché sembravano manichini, sembravano statue, perché quel gol li aveva impietriti. Tante volte, nel passato, mi son trovato in mezzo a loro e quindi so di cosa parlo.

Ma, lo ripeto ancora una volta, quel gol di Turchi ha reso giustizia ad una partita condotta per almeno ottanta dei novantaquattro minuti dal Lanciano. Nel primo tempo, addirittura spavaldamente, perché il Palermo non c’era, si limitava a difendersi quasi sempre sparando calcioni alla viva il parroco, senza neanche provare a ribaltare l’azione e tentare l’affondo nell’area avversaria. Con l’inevitabile risultato che i due di punta, Belotti ed Hernandez erano del tutto abbandonati a se stessi, non vedevano una sola palla giocabile e, quindi, risultavano quasi inutili alla causa. E tuttavia il Lanciano non riusciva ad impensierire seriamente la porta di Ujakani, che si limitava all’ordinaria amministrazione, con qualche uscita dai pali e qualche semplice, banale rinvio dal fondo. 0-0 all’intervallo e nelle orecchie, come un disco rotto, la litania del duo di Sky Tecca-Sosa che ripetevano fino all’esasperazione il solito trito, ritrito concetto: “Il Lanciano meriterebbe di essere in vantaggio perché ha letteralmente dominato la partita!”. Dimenticando, però, che per passare in vantaggio almeno un tiro nella specchio della porta il Lanciano doveva pur farlo. Poi, nella ripresa – sono sicuro che negli spogliatoi Iachini si sarà fatto sentire – dentro Verre al posto dello spento Bacinovic, che ha fallito per l’ennesima volta la chance di diventare il regista di questa squadra: non ne ha la stoffa e ormai se ne sarà accorto anche l’allenatore rosanero. Con Verre in campo si è visto subito che l’azione del Palermo ripartiva. Finalmente. E sul primo corner a favore, Belotti si è ripetuto con il suo pezzo forte. Il colpo di testa.

Ripetuto? Di più: si è superato, perché se col Novara aveva surclassato fisicamente ed acrobaticamente l’avversario diretto, schiacciando in rete da pochi metri la palla della vittoria, ieri ha fatto di più, molto di più: VerRe gli ha indirizzato una palla tesa e forte, lui non l’ha aspettata, come farebbe un centravanti qualunque; lui le è andato incontro, ha anticipato l’avversario diretto e schizzando alto come solo lui sa fare, dopo la necessaria torsione, l’ha scaraventata nell’angolo più lontano della porta di Sepe. Assolutamente imparabile e – direi di più – neanche minimamente prevedibile. Un vero capolavoro. In vantaggio, la squadra si è rianimata, niente di trascendentale, data anche la solita inerme prestazione di Hernandez, ma finalmente in partita, anche se il Lanciano sembrava non subirne minimamente il contraccolpo. Continuava ad attaccare magari a testa bassa come aveva fatto fino ad allora e, quindi, senza mai creare pericoli veri verso la porta di Ujkani. Finché non è entrato in campo – e tutti no l’abbiamo presa come l’ultima mossa, quella della disperazione- il … marito della presidentessa del Lanciano: Manuel Turchi. Con quel che segue.

E potrei chiudere qui, se prima non mi sentissi obbligato a ricordare al colto e all’inclito che i campionati si vincono anche con il gioco e non solo con le prodezze dei singoli, tipo Belotti. Quindi, a gennaio si provveda a trovare un buon regista che detti i tempi ed un paio di esterni perché i vari Morganella e Pisano hanno davvero fatto il loro tempo. Che non è quello che porta in serie A.


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