Norman e il suicidio - Live Sicilia

Norman e il suicidio

Il dibattito
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(rp) E’ chiaro che si tocca un filo scoperto. C’è lo strazio di un padre in mezzo. Ci sono gli amici e i parenti. Ci sono quelli che solidarizzano con la ribellione, perché la considerano nobile e coraggiosa. Io penso – e nessuno mi impedirà mai di pensarlo – che non ci sia coraggio nel volare da un piano alto della facoltà di Lettere. E credo che la cosiddetta dimensione “eroica” del suicidio sia un fraintendimento pericoloso, nutrito da pericolosissime suggestioni e da letture di gente abituata a camminare a un metro da terra. Io penso che non ci sia eroismo, né coraggio nel suicidio di Norman Zarcone. Lo penso e porto la responsabilità intera della mia affermazione. E lo riscrivo, perché forse è utile parlarci per capirci meglio.  C’è fragilità. C’è un bisogno inappagato di aiuto. C’è un’umanità da amare e da abbracciare. Non c’è l’eroe.  Questo io penso, rispetto all’atto che è stato compiuto, non addentrandomi nelle libere e rispettabili (non condivisibili) motivazioni, che nemmeno un padre, spesso, può conoscere.

Io non giudico Norman. Io valuto la sua scelta. Io dico che Norman aveva occhi da poeta, dico che era valoroso nel respirare, sudare e piantare ombrelloni, dico che aveva cultura e coscienza del suo problema generazionale. Ma dico anche che, scegliendo di volare dai piani alti della facoltà di Lettere, Norman ha fatto una cazzata, annullando se stesso, il suo magnifico e irripetibile dono per sé e per gli altri. Scrivo proprio così “cazzata”, perché è la parola – colma di affetto e di lacrime – che mi viene, perché è il termine che sceglierei,  se io e voi fossimo davanti a una birra a chiacchierare di vita e di morte, intorno al ricordo degli occhi di Norman.

Ecco tutto. So che la mia è una posizione che genera oggettivamente odio e antipatia. So che può essere scambiata per mancanza di misericordia o di tenerezza nei confronti di un ragazzo coraggioso in vita, unico e fragile. So che mi rende criticabile e fraintendibile. Sono rischi che accetto. Il mio lavoro è raccontare i fatti, per quanto scomodi. Il suicidio è una cazzata. Sempre. E’ un fatto. E se domani non avrò più un giornale per scriverlo, lo scriverò sui muri. E se tu fossi davvero in cerca di dialogo – caro lettore che non mi sopporti – vedresti quanto amore c’è, nascosto in una parola scomoda, difficile da dire. La convenienza del silenzio è  viltà, è solo un alibi per chi non ama abbastanza il dolore negli occhi degli altri.

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