PALERMO – Arrestato, condannato in primo grado e assolto in appello. Non è un pubblico ufficiale e non gli può essere contestata “l’induzione indebita a dare e promettere utilità”.
Ribaltata la sentenza per un dipendente del Tribunale della Libertà di Palermo che, alla luce verdetto della Corte d’appello della settimana scorsa, stamani si è ripresentato al lavoro. Nei confronti di Claudio Gangi, infatti, non c’è un provvedimento disciplinare.
Per l’imputato, difeso dagli avvocati Tommaso De Lisi e Teresa Todaro, è stata pronunciata anche sentenza di non doversi procedere per il reato di accesso abusivo al sistema informatico. Non essendo un pubblico ufficiale, infatti, sarebbe stata necessaria una querela di parte che non è stata presentata.
L’uomo fu arrestato (gli furono applicati i domiciliari) nel maggio del 2017 quando i carabinieri scoprirono che Gangi passava informazioni sullo stato dei ricorsi che riguardavano detenuti per mafia: istanze di scarcerazione, richieste di libertà vigilata, affidamenti in prova ai servizi sociali. Gangi chiedeva dai 50 ai 100 euro. Nel corso dell’interrogatorio si era difeso sostenendo di aver agito in buona fede e non per denaro. Le donazioni sarebbero state indipendenti dai suoi presunti favori.
Il fatto che in almeno due casi abbia passato le notizie è certo, ma il processo si è giocato sulle mansioni di Gangi. I legali hanno sostenuto che la sua qualifica di “operatore” manuale lo spogliasse del ruolo di pubblico ufficiale. Una tesi che ha fatto breccia nel collegio di appello. In primo grado Gangi era stato condannato a quattro anni e otto mesi.

