PALERMO – 21 maggio 2009. Quindici minuti dopo le 19 Salvatore Lombardo viene freddato da due killer a colpi di fucile mentre entra al bar Smart Cafè di via XV gennaio, a Partanna, in provincia di Trapani. Era appena uscito dalla caserma dei carabinieri dove ogni giorno firmava il registro. Una misura cautelare che gli era stato imposta dal giudice dopo che lo avevano sorpreso a rubare l’energia elettrica.
Un piccolo ladro freddato da due killer. Per quasi sei anni il delitto è rimasto avvolto nel mistero. Per due volte la Procura di Marsala, all’inizio competente sul caso, aveva chiesto l’archiviazione delle indagini. Pochi mesi fa la svolta. Si è capito che era nella mafia trapanese che bisognava scavare per trovare la chiave dell’omicidio. Lombardo si era macchiato di una colpa grave, quella di avere rubato nel supermercato di una persona che, anni dopo, sarebbe stato piazzato fra i favoreggiatori del latitante Matteo Messina Denaro. Perché Domenico Scimonelli, il presunto mandante del delitto, viene considerato dal procuratore aggiunto Teresa Principato “l’uomo che cura gli interessi economici del padrino di Castelvetrano”.
Oltre a lui in manette sono finiti Nicolò Nicolosi, 44 anni, di Calatafimi, e Attilio Fogazza, 44 anni, di Salemi. Sarebbero loro gli i killer entrati in azione nel 2009. A loro gli agenti delle squadre Mobili di Palermo e Trapani e i militari del Roni del Comando provinciale dei carabinieri di Trapani sono giunti ascoltando alcune recentissime intercettazioni. Due personaggi, di cui uno con un ruolo di peso nella mafia trapanese di oggi, discutevano del delitto e, tra un nome e un altro, protestavano per l’assenza di Messina Denaro, troppo impegnato a scappare dagli uomini che gli danno la caccia e poco attento alle attuali dinamiche mafiose.
Le indagini si sono basate sulle telecamere di sorveglianza piazzate in alcuni negozi attorno al luogo del delitto, su alcune testimonianze e sui tracciati ricostruiti tramite Gps. Nei frame si vedeva la Suzuky Alto, prestata da un amico alla vittima, braccata da una Polo Volkswagen scura. Senza la nuova intercettazione, però, non si sarebbe arrivato al fermo già convalidato dal giudice per le indagini preliminari. “Mimmo Scimonelli… quello del supermercato… che ‘fungiazza’ ci fici la cosa ddocu”, dicevano i due interlocutori. “Fungiazza “ era il soprannome di Lombardo. Ecco, dunque il movente del delitto: Lombardo sarebbe stato punito per avere rubato nel supermercato di Scimonelli che il 3 agosto scorso è stato arrestato in un blitz antimafia. Il bottino era stato di 9 mila euro in merce e un autocarro Mercedes che di euro ne valeva 30 mila.
Gli investigatori, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi e dai sostituti Carlo Marzella e Francesco Grassi, hanno riletto le vecchie conversazioni in cui, era il 17 maggio 2009, Nicolosi e Fogazza, parlavano della fasi esecutive del delitto: “… una botta e un colpo là sopra”. Due giorni dopo, il 19 maggio, i due assieme a Scimonelli furono localizzati nel Lazio e poi a bordo della nave che li portò da Napoli in Sicilia. Quel giorno parlavano di “pillole” ma, secondo gli investigatori, facevano riferimento all’uso di armi. La Polo sarebbe rimasta parcheggiata per giorni a casa di un loro amico che era piuttosto preoccupato: ”… mi dovete levare questa macchina perché per sera viene mio figlio con sua moglie e cose”. Il commando aveva pensato a tutto, anche a bloccare la strada dove entrarono in azione. Alcuni testimoni avevano raccontato di avere visto un camion con il marchio Despar parcheggiato di traverso per impedire l’accesso di altri veicoli.
Fondamentale è stato il racconto di uno di loro che all’inizio era stato reticente. Poi si è convinto a fornire il suo contributo spinto dalle parole di un parente: “… te la faranno pagare la tua poca onestà… negando l’evidenza davanti alla giustizia… mi era sembrato strano che in tutti questi anni non ti era successo niente frequentando questa gentaccia”.
Ex post sono state rilette con una luce diversa una sfilza di vecchie conversazioni. Da quelle dell’uomo incaricato di seguire i movimenti della vittima – “Saruzzo al bar sono” – a quelle registrare subito dopo il delitto in cui Fogazza e Nicolosi parlavano di “… pulire le targhe… bisogna togliere” per evitare che dalla Polo scura si potesse risalire alla loro identità. C’erano quasi riusciti. Ora il fermo, già convalidato, li inchioderebbe alle loro responsabilità per un delitto che il procuratore Lo Voi definisce: “Un segnale per affermare il proprio potere sul territorio e nel territorio”. Perché il delitto sarebbe maturato nell’ambito della cosca mafiosa trapanese.