Imputati 24 santapaoliani |Comune parte civile, Consoli in aula - Live Sicilia

Imputati 24 santapaoliani |Comune parte civile, Consoli in aula

I particolari dell'inchiesta. Intercettazione 1 Intercettazione 2 Intercettazione 3

CATANIA – Il Comune di Catania ha deciso di costituirsi parte civile nel processo scaturito dall’operazione Reset. L’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Dda etnea, lo scorso novembre ha portato all’arresto di 24 persone, assestando un duro colpo al clan Ercolano-Santapaola. Per sei è stato chiesto il giudizio immediato e il processo inizierà oggi; gli altri 18 hanno invece hanno optato per il rito abbreviato. Per loro l’udienza è fissata per luglio. Marco Consoli, vicesindaco del Comune di Catania sarà presente, stamani, all’udienza che vede imputati otto degli arrestati nel corso dell’operazione Reset.

“Non ci costituiremo con l’avvocatura comunale, come sempre fatto – afferma Consoli a LivesiciliaCatania – ma saranno i rappresentanti dell’amministrazione, io nella fattispecie, a presenziare nei processi che, di volta in volta, dovrò selezionare”. Molto più di una partecipazione simbolica. “Con la costituzione di parte civile si vuole non solo testimoniare che l’amministrazione Bianco lotta sinergicamente con la Procura, con le forze di Polizia e con la società civile contro la piaga della mafia – spiega il vicesindco – ma in modo concreto si vuole in caso di condanna aggredire il patrimonio degli affiliati alle cosche mafiose operanti nel territorio catanese”.

Una richiesta avallata dall’Asaee, associazione antiracket molto attiva sul territorio. “La richiesta di costituzione mi è pervenuta dall’associazione anti racket antiusura Etnea, presieduta da Gabriella Guerini – continua Consoli. Su mandato del sindaco, io selezionerò i processi che ritengo più importanti e lesivi dell’onore della città”. Ma le azioni “antimafia” dell’amministrazione vanno avanti anche fuori dalle aule dei tribunali. “Insieme a Saro D’Agata e Giuseppe Girlando (rispettivamente assessore alla Legalità e al Patrimonio n.d.r.) stiamo modificando il regolamento per l’assegnazione dei beni confiscati. Inoltre – conclude – stiamo rivedendo il regolamento anti racket per agevolare le segnalazioni dei cittadini”. Stamani, in ogni caso, sarà la prima volta che in aula siederà un rappresentante della Giunta.

La Guardia di Finanza, a novembre, eseguì 24 misure di custodia cautelare in carcere, di cui sette destinate a soggetti già detenuti. Un brillante risultato frutto di un’intricata indagine della Direzione Distrettuale Antimafia guidata da Giovanni Salvi, e condotta dai Pm Jole Boscarino e Andrea Bonomo. L’inchiesta permise di seguire “quasi in diretta”, così affermò Salvi nel corso della conferenza stampa, grazie soprattutto alle intercettazioni captate dall’ottobre 2011 a marzo 2013, le mosse del gruppo storicamente affiliato alla Cosca Santapaola Ercolano e di ricostruirne il suo organigramma. A impartire gli ordini, anche da dietro le sbarre, sarebbe stato  “Pippo” Zucchero, capo del famoso gruppo santapaoliano “della stazione”. Direttamente dal carcere avrebbe scelto i suoi “eredi” chiamati a ricostruire l’organizzazione e la piazza di spaccio. Il genero Cristofaro Romano e il figlio Benedetto, in tempi record, avrebbero rimesso in piedi gli affari di “famiglia” creando una rete criminale ad altissimo livello con attività che andavano dalla droga, alle estorsioni, all’usura, alle rapine fino al nuovo business del “recupero crediti”.

LE ESTORSIONI – I commercianti, piccoli e medi, della zona di appartenenza erano potenziali vittime dell’organizzazione. La richiesta di pizzo agli esercenti, a tappeto, è stato il modo per riconquistare il territorio e ritornare a far capire, anche ai gruppi “rivali”, chi era che “comandava”.  Le somme imposte andavano sempre ad aumentare, perché – secondo le ipotesi investigative – la necessità di liquidità era sempre più pressante anche perché molti esponenti del clan erano detenuti.

LE RITORSIONI  – Dire di no ai “carusi della stazione” significava diventare bersaglio di intimazioni, minacce e violenza. La guardia di Finanza ha documentato l’incendio di un’auto a uno dei commercianti che non si era piegato all’estorsione. Modalità scelta dallo stesso Pippo Zucchero dal carcere aveva istruito a dovere i suoi “picciotti”.

ALCUNE VITTIME HANNO RITRATTATO – “Abbiamo ricevuto la collaborazione del 90% delle persone offese – dichiarò il Pm Jole Boscarino durante la conferenza stampa – alcuni hanno denunciato, ma la maggior parte hanno solo confermato le ipotesi investigative una volta che sono stati interrogati. Un aspetto che lascia un po’ l’amaro in bocca è che due delle estorsioni accertate erano emerse anche dall’operazione Libertà scattata nel 2011. I commercianti nonostante la denuncia hanno continuato a pagare il pizzo e, quando sono stati sentiti dagli inquirenti molte volte hanno ritrattato quanto avevano dichiarato in precedenza”.

IL RECUPERO CREDITI – Nuova sorgente di liquidità del gruppo sarebbe stata l’attività di riscossione dei crediti, nuovo business del clan che è emerso anche in altre operazioni antimafia della Dda etnea. Il metodo mafioso sarebbe stato utilizzato dal gruppo per “convincere” alcuni commercianti a saldare diversi debiti, una volta intascati i pagamenti il clan ne tratteneva una parte delle somme. Non esisteva una percentuale fissa, variava a seconda degli importi. Dalle intercettazioni è emerso come molte volte per aumentare gli introiti veniva comunicato ai creditori un falso incasso, in modo che la “provvigione” fosse più alta.

LE RAPINE – Il gruppo per rifornire le casse del Clan ha pianificato diverse rapine, anche in trasferta. Colpi programmati nei minimi particolari ma che in alcuni casi non sono stati messi a segno, come quelli ad un ufficio postale di Faenza e a una gioielleria di Reggio Calabria.

LA DROGA – Pippo Zucchero finisce in manette, nel corso dell’operazione Libertà del 2011, inchiesta da cui prende le mosse la retata di novembre della Guardia di Finanza, guidata dal Comandante Roberto Manna e coordinata dal comandante della Tributaria Giancarlo Franzese. Le indagini permettono di accertare come in pochi mesi dall’arresto del Capo, il gruppo della stazione rimette in piedi la piazza di spaccio: assoldando pusher e ristabilendo i canali di rifornimenti. La vendita delle dosi di cocaina e marijuana, prima entrata economica per l’organizzazione, sarebbe stata affidata a soggetti fuori dalla cosca per evitare che in caso di azioni e controlli della polizia potesse essere coinvolta la “famiglia”.

TENSIONI TRA I SANTAPAOLA – Uomini senza scrupoli, dall’atteggiamento temerario. Questo il profilo degli arrestati descritto dagli inquirenti. Comportamenti che sfociano in forti tensioni con i gruppi rivali, soprattutto con i componenti della Civita, i cui reggenti sono stati individuati in Giovanni Nizza, detto Giovanni Banana e  Mirabella Salvatore, conosciuto come “Angelo u porcu”.  Ruolo apicale conferito su diretta investitura dei Nizza che gestiscono da anni il traffico di stupefacenti a Librino per conto di Cosa Nostra Catanese. Frizioni che, da quanto emerge dalle intercettazioni, sarebbero potute sfociare in faide interne: sono state captate conversazioni dove si evince chiaramente la volontà di armarsi e passare “ai fatti”.

 


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