Orlando, la crisi e il 2022: l'ultima sfida del sindaco

Orlando, la crisi e il 2022: l’ultima sfida del sindaco

Iv non ritira gli assessori ma il Professore tira dritto

PALERMO – La crisi al comune di Palermo non si è chiusa, ma l’esito appare ormai scontato: gli assessori di Italia Viva non si dimetteranno, continuando la guerra di nervi con il sindaco Leoluca Orlando che sarà così costretto a rimuoverli innescando un effetto domino che porterà anche al siluramento del presidente di Amat Michele Cimino e del vicepresidente di Amg Domenico Macchiarella. L’epilogo di una vicenda che ha colto tutti di sorpresa, perché se da un lato era chiaro che i renziani avrebbero staccato la spina qualche mese prima delle elezioni (e l’annunciata opposizione a un aumento Tari era in tal senso indicativa), dall’altro nessuno si aspettava che la rottura avvenisse a oltre un anno dalle Comunali del 2022.

Il Professore non ha fatto altro che accelerare i tempi e anticipare le mosse di Iv, ma seguendo una strategia che ha lasciato smarriti persino i suoi più stretti collaboratori: rimproverare a Italia Viva il consolidato è stato un clamoroso scivolone e le conseguenze del Piano triennale (milioni di investimenti persi e migliaia di posti di lavoro in fumo) sono tutte da provare, visto che gli uffici qualche giorno fa hanno detto esattamente il contrario. All’orizzonte non c’è una maggioranza alternativa, il M5s ha già fatto sapere di non aver intenzione di sostenere l’amministrazione e perfino le anime più “dialoganti” del centrodestra hanno dovuto prendere atto del fatto che, nell’ultimo anno della seconda sindacatura, non c’è più spazio per i guanti bianchi.

I numeri che non tornano

E dire che di segnali preoccupanti per la maggioranza ce n’erano stati parecchi, a partire dal pasticcio sul bilancio previsionale di fine 2020: il sindaco aveva dovuto ingoiare il rospo provando a mettere il cappello su un’operazione  subita (quella che ha tolto i soldi alle opere accessorie del tram) e gestendo i mal di pancia di Sinistra Comune, le sedute sull’emergenza cimiteri si erano trasformate in processi pubblici alla giunta e agli uffici e molti assessori erano restii ad andare in Aula, visto il clima non proprio disteso. Ma finora, nonostante i vertici di coalizione, nulla era cambiato.

Una situazione che, senza Italia Viva, adesso non potrà che peggiorare. La maggioranza conta sui due consiglieri del Pd, i quattro di Sc e i quattro di Avanti Insieme: ufficialmente 10, a cui aggiungere qualcuno del Misto. Troppo poco, considerando che il presidente del consiglio ha aderito a Italia Viva e che solo due commissioni su sette sono in mano alle forze rimaste fedeli al sindaco. I renziani erano il gruppo più numeroso e politicamente più rilevante della maggioranza e il loro addio lascia anche due posti vuoti in giunta e qualcuno nelle aziende: poltrone utili per rinforzare i legami politici e provare un altro mini-rimpasto, tranne nel caso di Rap visto che trovare un successore di Norata sarà impresa ardua (oltre che per le responsabilità, anche per i mille euro lordi al mese).

L’ultimo anno

Ma al di là delle beghe sulla Lega e sul modello Draghi (quella di Iv è apparsa più come una provocazione che però il sindaco ha saputo abilmente sfruttare), il tema è capire come il primo cittadino e i suoi assessori affronteranno questo ultimo anno. L’antipasto si è avuto ieri: il sindaco ha annunciato che farà a meno di una maggioranza a Sala delle Lapidi ma al contempo ha puntato il dito contro tutto e tutti. Un copione che con molta probabilità si ripeterà ancora, col Professore pronto a scaricare sul consiglio ogni colpa e ritardo, ma che avrà come effetto quello di trasformare piazza Pretoria in una palude in cui si impantanerà ogni atto.

Il nuovo Piano regolatore rimarrà un bel sogno nel cassetto così come è improbabile che passi un aumento della Tari, più verosimile che i maggiori costi vengano scaricati su Rap. Ma sarà con le emergenze di ogni giorno che la giunta dovrà fare i conti: sul ponte Corleone i lavori di messa in sicurezza non sono nemmeno iniziati, idem per l’Oreto, le bare ai Rotoli hanno superato quota 800, i sindacati Amat sono sul piede di guerra, le partecipate contestano i tagli, il mondo delle imprese è in perenne affanno e ha criticato persino le ultime pedonalizzazioni, la differenziata è al palo, Bellolampo a breve sarà di nuovo satura e l’unica alternativa sarà portare i rifiuti all’estero o farli accumulare in città. Criticità di fronte alle quali le beghe con i partiti lasciano il tempo che trovano e il prevedibile malcontento dei cittadini difficilmente si potrà placare parlando di massimi sistemi.

Il problema più grande rimane però quello del bilancio: la Ragioneria generale ha messo nero su bianco che, senza un intervento da Roma, il previsionale 2021 rimarrà un’incompiuta. All’appello mancano quasi 80 milioni di euro, l’evasione Tari è alle stelle, il Fondo crediti è una voragine, il fondo di riserva ormai al limite, la riscossione dei tributi è drammaticamente risibile: dei 939 milioni di euro che si sarebbero dovuti incassare dal 2000 al 2018, ne sono arrivati appena 17,7, ossia l’1,89% secondo i dati di Riscossione Sicilia. Uno squilibrio strutturale per il quale, al momento, non c’è alcuna soluzione e che sta lasciando la città a secco.

La sfida

I prossimi mesi rischiano di trasformasi in una vera via crucis e sta qui l’ultima, grande sfida per il Professore: provare a evitare che l’epilogo della sua vita da sindaco sia ricordato per il default del Comune o per l’isolamento politico (come invece capitò al suo predecessore) e, al contempo, gettare le basi perché il successore sia ancora di centrosinistra sfatando definitivamente il mito di un Orlando che non vuole eredi né sodali e spiana la strada agli avversari. “Un sindaco viene ricordato per l’ultima cosa che fa”, ha ricordato ieri un Orlando a cui non resta che un’impresa ad altissimo rischio, ma che è l’unica strada percorribile: salvare il Comune, la città e anche se stesso.


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