“Palermitani come bancomat, Irpef più alta d’Italia” - Live Sicilia

“Palermitani come bancomat, Irpef più alta d’Italia”

Dagnino: “Per i contribuenti può essere peggio del dissesto”
PIANO DI RIEQUILIBRIO
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PALERMO – “L’accordo che il comune di Palermo siglerà col Governo per avere 400 milioni in 20 anni, o anche meno, non è altro che un super dissesto: i palermitani, per la sola colpa di risiedere qui, saranno usati come bancomat. Avremo l’Irpef locale più alta della storia, le imprese dovranno accettare una decurtazione dei crediti e a guadagnarci saranno solo gli amministratori per i quali non scatterà in automatico la segnalazione alla Corte dei Conti. Per i cittadini era meglio il dissesto”. Non ha dubbi Alessandro Dagnino, avvocato e presidente per la Sicilia occidentale dell’associazione tributaristi italiani, protagonista dei ricorsi contro la Ztl. “Senza un consenso sociale su misure così drastiche – dice a Livesicilia – si corre il rischio che anche questa volta qualcuno faccia ricorso alla giustizia amministrativa”.

Il consiglio comunale ha approvato un piano di riequilibrio che si basa sui soldi che arriveranno da Roma, in virtù di un accordo che va siglato col governo nazionale entro il 15 febbraio. Strada giusta o era meglio il dissesto?

“Per i Comuni in gravi difficoltà finanziarie, la legge prevedeva due strade: il dissesto o il piano di riequilibrio. L’ultima Legge di Bilancio ha invece introdotto una terza forma, una tantum, chiamata ‘accordo per il ripiano del disavanzo e per il rilancio degli investimenti’ riservata a chi ha approvato il riequilibrio. E l’amministrazione comunale ha scelto quest’ultima opzione per una somma che gli uffici avevano stimato pari a circa 400 milioni in 20 anni, salvo poi scoprirsi, soltanto dopo l’approvazione del Consiglio comunale, che si trattava di soli 250 milioni”.

E non le sembra conveniente?

“Considerando che il Comune di Palermo ha entrate complessive annue per 2,1 miliardi di euro, stiamo parlando di un contributo statale pari, in media, all’1% l’anno o addirittura allo 0,6%, qualora le previsioni vadano riviste al ribasso. Di contro, i palermitani subiranno un notevole aumento della pressione fiscale”.

Anche il dissesto prevede un aumento delle tasse…

“Sì, ma con due significative differenze. Il dissesto, che viene considerata l’eventualità più grave, prevede che i tributi locali aumentino all’aliquota massima consentita dalla legge per 5 anni, invece l’aumento dell’addizionale Irpef consentito da questa norma speciale di cui il Comune intende avvalersi non solo durerà 20 anni, ma sarà senza limiti. Oggi chi risiede a Palermo paga lo 0,8%, mentre il piano prevede un aumento all’1,6 o addirittura all’1,7%, praticamente l’addizionale Irpef più alta della storia italiana, senza precedenti. L’articolo 23 della Costituzione stabilisce il principio di legalità tributaria, il che vuol dire che la tassazione può avvenire solo in virtù di una legge che fissi un tetto massimo; qui invece il tetto non c’è e si demanda a un accordo fra Comune e Governo di durata ventennale. E’ un fatto senza precedenti e su cui bisogna ragionare bene: salta l’equilibrio fra l’interesse degli enti locali e quello dei contribuenti, dando peso solo al primo, oltre a porre seri dubbi sul rispetto dei principi di equità intergenerazionale e di responsabilità di mandato, sanciti dalla Corte costituzionale”.

Quindi era meglio il dissesto?

“Dal punto di vista dei contribuenti probabilmente sì, avrebbe quantomeno avuto un minore impatto. Al di là del dibattito politico, in cui ovviamente non entro, adesso bisogna ragionare su quali saranno le possibili conseguenze. La legge individua alcune misure che potranno essere inserite in questo accordo con Roma, tra cui l’addizionale comunale sui diritti di imbarco al porto, già prevista nel piano approvato dal Comune, che colpisce il turismo e crea una disparità fra chi vive a Palermo e chi vive altrove. L’aumento dell’Irpef colpirà tutti, non solo imprese e professionisti, e i lavoratori dipendenti pubblici e privati lo troveranno in busta paga. In pratica sarà un bonus Renzi al contrario, una sorta di malus, un prelievo forzoso ventennale, nel quale anziché ricevere i soldi ce li vedremo trattenuti”.

Di quanti soldi parliamo?

“Dipende tutto dalla situazione del singolo contribuente, ma su uno stipendio di 1.500 euro possiamo stimare una media di circa 40 euro al mese. Ma il problema è che non c’è alcuna garanzia che la cosa si fermi qui, perché se il Comune non riuscirà a riscuotere le tasse le aliquote potranno continuare ad aumentare. I cittadini saranno una sorta di bancomat”.

Il sindaco ha detto che questo piano potrà essere cambiato dai suoi successori…

“Intanto la legge prevede che il ministero dell’Interno controlli ogni sei mesi il raggiungimento degli obiettivi annuali e, se qualcosa va storto, impone delle misure correttive. In pratica l’autonomia finanziaria del Comune verrà notevolmente limitata. Per quanto riguarda le modifiche, è vero che si tratta di un accordo e quindi di qualcosa che può essere rivisto, ma sempre con il consenso di entrambe le parti e non mi pare che il Comune goda di chissà quale potere contrattuale con lo Stato. Il punto è che questo tipo di procedura pone l’attenzione solo sull’obiettivo finale, non sul come si raggiunge, una flessibilità che però stavolta ha un’accezione negativa. La parola ‘dissesto’ sembra il male assoluto e invece la parola ‘accordo’ appare migliore, in realtà stiamo solo giocando con i termini, ma quel che conta è la sostanza”.

Che effetti ci saranno sulle imprese?

“Anche qui ci sono delle novità che non sono certo a favore delle aziende. Il dissesto è una sorta di procedura fallimentare di un Comune: i crediti non vengono pagati per intero ma solo in parte, in base ad accordi transattivi, e questo mette in difficoltà le imprese e quindi l’intera economia. Con l’accordo previsto dalla Legge di Stabilità, invece, siamo davanti a una sorta di super fallimento: non solo si pagano i crediti in percentuale, ma secondo un criterio di anzianità del credito, che è molto più rigido. E se un’impresa non presenta domanda entro ristrettì termini o non accetta vedrà cancellato il proprio credito dal piano. Ma non è finita: per aumentare la riscossione, su cui abbiamo assistito a un balletto delle stime fra gli uffici, si potranno diminuire le rate delle cartelle da 72 a 24 mesi. In pratica, anziché pagare in sei anni le imprese dovranno pagare in appena due. Un provvedimento che, unito al regolamento anti evasione che abbiamo impugnato, rischia di essere dirompente per la tenuta economica della città”.

Il piano di riequilibrio consentità però di aumentare le ore al personale…

“Ecco, questa è una cosa che col dissesto non si sarebbe potuta fare. Il punto è che così aumenta il divario fra pubblico e privato: nessuno mette in dubbio i sacrosanti diritti dei lavoratori pubblici, però rendiamoci conto che da un lato si penalizzano i lavoratori privati e le imprese e dall’altro aumentiamo le ore ai comunali scaricando i costi sulla collettività. Una cosa difficilmente giustificabile, specie in un momento come questo, e su cui non vorrei che qualcuno stia costruendo la campagna elettorale. Inoltre vorrei far presente che fra le misure previste dall’accordo potrebbero esserci anche l’accorpamento degli uffici e la riduzione delle indennità accessorie dei dipendenti comunali: il diavolo sta sempre nei dettagli”.

Insomma, il piano è positivo solo per alcuni?

“Sicuramente per gli amministratori: il dissesto prevede in automatico la segnalazione alla Procura della Corte dei conti e la successiva incandidabilità in caso di condanna, l’accordo invece no. Inoltre, mentre il dissesto fa ricadere le conseguenze maggiormente sull’ente locale, l’accordo lo fa pagare di più ai cittadini. Vorrei infine segnalare un ultimo rischio”.

Quale?

“Il consenso sociale è fondamentale. Se ci fosse stato per la Ztl, nessuno avrebbe fatto ricorso al Tar, mentre a seguito del ricorso il Comune è stato costretto a ridimensionarla al solo tratto compreso tra la stazione centrale e via Cavour, con pesanti conseguenze sulle entrate originariamente previste; se ci fosse stato per la Ztl notturna, il Tar non ne avrebbe limitato la durata a un solo anno. La legge non prevede che l’accordo con lo Stato passi da un confronto con la città, ma ovviamente sarebbe auspicabile perché non è una questione muscolare fra chi vince e chi perde in consiglio. Non vorrei che alla fine qualcuno si ritrovasse con una vittoria di Pirro e con il Giudice amministrativo chiamato ad avere l’ultima parola”.

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