PALERMO – La truffa ai danni di banche e finanziarie correva lungo la linea telefonica della Regione siciliana. C’è, infatti, un ex funzionario del Dipartimento regionale Sviluppo rurale e territoriale fra i cinque arrestati nel blitz di carabinieri della compagnia di Bagheria. Assieme a lui finiscono in carcere altre quattro persone, tra cui un impiegato dell’ufficio anagrafe del Comune di Palermo. I due dipendenti pubblici in cambio di soldi avrebbero dato una mano all’organizzazione per creare false identità e ottenere prestiti per oltre mezzo milione di euro. Ecco i nomi degli arrestati: Lorenzo Motisi, 44 anni, funzionario regionale; Salvatore Randazzo, 58 anni, dipendente comunale dell’ufficio anagrafe di Palermo; Rosario Di Fatta, 56 anni; Stefano Ganci, 53 anni; Saverio Giunta, 66 anni. Ci sono altre sette persone indagate: avrebbero fornito le fotografie per taroccare le carte d’identità.
I reati contestati sono associazione per delinquere finalizzata alle truffe e sostituzione di persona, fabbricazione di documenti falsi, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ed accesso abusivo ad un sistema informatico. Il dipendente comunale forniva i dati anagrafici (stato civile e numero dei documenti di riconoscimento) di facoltosi professionisti in pensione. Quindi venivano falsificate le carte d’identità per avviare le pratiche di finanziamento con importi compresi tra 12.000 e 80.000 euro. In altri casi grazie alle false identità venivano comprate macchine che poi sarebbero state subito rivendute a terze persone.
Il piano non sarebbe potuto andare a buon fine se non ci fosse stato l’aiuto dell’altro impiegato pubblico. Una volta confezionata la falsa identità nella domanda per il prestito veniva indicato che la persona che chiedeva i soldi era dipendente della Regione siciliana. Per rendere più credibile il tutto si aggiungeva il numero di telefono dell’ufficio a cui chiedere informazioni.
Dall’altro capo della cornetta l’impiegato della Regione, già indagato per truffa e sospeso, rispondeva e confermava che sì, era tutto vero, a chiedere il prestito era un dipendente pubboico. Il tutto ripetuto per decine di volte, fino a raggiungere la cifra di mezzo milione di euro. Almeno per i casi fin qui scoperti. Ce ne potrebbero essere, infatti, molti di più. Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Chiara Capoluongo e Andrea Fusco vanno avanti.
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