PALERMO – Il chirurgo toracico Francesco Caronia ha denunciato una sfilza di falsi nei registri operatori e nelle schede di dimissioni ospedaliere, ma secondo i pubblici ministeri e il giudice non ci sono “condotte penalmente rilevanti”.
La denuncia di Caronia
Secondo Caronia, in poco più di 270 occasioni, tra il 2021 e il 2023, i suoi colleghi del Civico avrebbero mentito. Sì è a che indagato per abuso d’ufficio, ma nel frattempo il reato è stato abrogato.
Per i falsi il giudice per le indagini preliminari Marco Gaeta ha accolto la richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica. Il medico si è opposto, ma secondo il Gip non ha titolo per farlo. Solo il Civico, e non il chirurgo, andrebbe considerata parte lesa.
Si attende la Cassazione
L’avvocato di Caronia, lo scorso 17 aprile, ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che anche il chirurgo sia parte lesa: c’è la sua firma sulle cartella cliniche il cui contenuto diverge dalle scheda di dimissioni firmate (e secondo lui, falsificate) dai colleghi. La decisione finale spetta ai supremi giudici.
La prima denuncia di Caronia riguardava le presunte irregolarità nel concorso per primario in cui tre anni fa gli venne preferito Damiano Librizzi. Si parla di documentazione irregolare. Questo capitolo dell’inchiesta è ancora aperto.
Nei successivi esposti Caronia allargò il campo criticando la gestione del reparto. Sotto inchiesta sono finiti in sedici: dal direttore sanitario Salvatore Requirez al primario Librizzi, passando per altri chirurghi e medici specializzandi.
Cosa scrive il Gip
Nell’archiviazione il Gip scrive: “Nel merito sono condivisibili le considerazioni del pubblico ministero, fondate anche sulle dichiarazioni di alcuni indagati in sede di interrogatorio, dalle quali è emersa o l’insussistenza del fatto, per la correttezza o non evidente scorrettezza dei codici di intervento indicati, o, comunque, l’assenza del necessario elemento soggettivo”.
Vicenda complicata quella su cui hanno indagato i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria su delega della Procura di Palermo. Anche per la stessa natura del materiale su cui si è indagato. Nella maggior parte dei casi, secondo Caronia, i colleghi (medici strutturati e specializzandi) nelle schede di dimissioni avrebbero indicato falsamente un codice (“asportazione o demolizione di lesione della parete
toracica”), rispetto a quello reale (“altra asportazione di tessuti molli”).
Registri operatori e dimissioni
In altre circostanze nella diagnosi si parlava di “tumori maligni secondari del polmone” quando invece sarebbe stato giusto registrare i casi alla voce “altre malattie polmonare “.
Il pm Antonio Carchietti, letta la lunga informativa della finanza, ha concluso che “le falsità contestate sono apparse distanti dalla configurazione di condotte penalmente rilevanti”.
Perché l’inchiesta è stata archiviata
Manca il movente della falsificazione: “Nessun vantaggio economico quantificabile ed in ogni caso in grado di conferire reali utilità all’Unità operativa di Chirurgia toracica; nessun profilo ulteriore e diverso che si connoti per rilevanza patrimoniale o per prospettabili utilità idonee a valicare la dimensione
nebulosa del maggior prestigio professionale; nessuna diretta utilità in capo agli indagati”.
I medici, interrogati dal pm, hanno giustificato l’utilizzo di un codice piuttosto che un altro “ed è apparso
in certi casi non incongruo, in altri suscettibile di valutazione discrezionale, in altri ancora potenzialmente scorretto ma ‘sorretto’ da indicazioni operative di massima fornite dal reparto”.
Ad esempio uno dei medici del reparto ha spiegato che “siamo dinanzi ad una patologia di
elastofibroma: nel manuale ministeriale, ricercando il tumore del tessuto connettivo benigno, si comprende che la relativa asportazione – sottovoce lesione – sottovoce sede (parete toracica), legittima il un codice. Il codice che mi viene indicato in contestazione è invece aspecifico, e noi abbiamo l’obbligo di usare le codifiche più specifiche ove possibile”.
Altro esempio: il paziente era affetto da noduli polmonari ma era stato indicato un trattamento chirurgico per l’asportazione di noduli in solo parziale regressione. Non comparivano cellule neoplastiche. “C’era una storia di manifestazione di metastasi polmonari, da ciò il ricorso al codice adottato. È pertanto una questione essenzialmente diagnostica – ha spiegato il chirurgo -. Anche in questo caso la codifica meno specifica avrebbe alterato l’anamnesi e la storia diagnostico-terapeutica del paziente”.
Un altro medico ha ammesso “una svista” nella chiusura della cartella clinica ma “determinata dall’imponente mole di pratiche da vagliare”.
Spiegazioni che hanno convinto prima il pm a chiedere l’archiviazione e poi il Gip a chiudere il caso: “L’insieme dei dati acquisiti induce, pertanto, a ritenere che non in non infrequenti casi, sia dubbia la scorrettezza della opzione per il codice formalizzato. Ma in ogni caso, anche a fronte del ricorso a codici ritenibili non corretti, non si ravvisa alcun profilo sintomatico del dolo del falso in capo ai medici ed agli operatori sottoposti ad indagine”.
La giovane mamma morta
Caronia non si è arreso e ha rilanciato creando scossoni nella sanità pubblica. Il chirurgo, prima tramite il deputato Ismaele La Vardera e poi ai microfoni delle trasmissioni “Lo Stato delle cose” e “Le Iene” ha denunciato i casi di cartelle cliniche falsificate per ottenere rimborsi maggiorati.
Ha fatto ascoltare delle registrazioni audio di conversazioni con i colleghi del reparto, anche su interventi eseguiti male che nei casi più drammatici avrebbero portato anche alla morte. Una giovane mamma di 37 anni, si chiamava Nadia, sarebbe morta per le complicazioni dopo un intervento in anestesia totale che non doveva essere fatto.
Su questo fronte la Procura ha avviato un’inchiesta visto che non c’erano state querele da parte di familiari di pazienti deceduti o che ritenevano di essere stati curati male.