Caso Cavallotti: beni confiscati, la Cedu chiede chiarimenti all'Italia

Caso Cavallotti: beni confiscati, l’Europa chiede chiarimenti

Ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo

PALERMO – Il ricorso è ricevibile. Si dice così quando la Corte europea per i diritti dell’uomo ritiene un caso meritevole di attenzione, ma la Cedu va oltre perché pone delle questioni all’Italia sul tema dei beni confiscati agli imprenditori accusati di avere fatto affari con la mafia.

Il caso è quello dei fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti di Belmonte Mezzagno. Finirono sotto processo. Il reato di turbativa d’asta fu dichiarato prescritto, mentre arrivò un’assoluzione nel merito dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Non era stata raggiunta la prova della loro colpevolezza, ma erano emersi elementi che ne tracciavano la contiguità con i boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, fedelissimi di Bernardo Provenzano, che li sponsorizzarono nei lavori della metanizzazione in diversi comuni. Le accuse fecero scattare le misure patrimoniali, il sequestro e la confisca definitiva dei beni. Ai figli, invece, i beni sono stati restituiti anche se ormai restano le macerie. Sotto l’amministrazione giudiziaria sono andati in malora.

Sono trascorsi sette anni dalla confisca. I Cavallotti si sono sempre professati innocenti. Vittime del pizzo e non complici di mafiosi. La Cedu solleva alcuni interrogativi. Nel caso di un’assoluzione in un processo penale, la confisca dei beni viola la presunzione di innocenza? La Cedu si chiede “se, alla luce dell’assoluzione del primo gruppo di ricorrenti dall’accusa di partecipazione ad un’organizzazione criminale di tipo mafioso, l’accertamento di particolare pericolosità e la successiva confisca dei beni era giustificata”.

Se “le autorità nazionali abbiano dimostrato che i beni confiscati avrebbero potuto essere di provenienza illecita in modo motivato, sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali, e senza basarsi su un mero sospetto”.

Se l’inversione dell’onere della prova quanto all’origine legittima dei beni acquisiti molti anni prima abbia imposto un onere eccessivo ai ricorrenti”. Nelle misure di prevenzioni sono gli imputati che devono dimostrare la provenienza lecita dei loro beni. Ed infine “se ai Cavallotti fosse stata offerta una ragionevole opportunità di presentare le loro argomentazioni dinanzi ai tribunali nazionali e se questi ultimi avessero debitamente esaminato le prove presentate dai ricorrenti”.

Il ricorso, curato dagli avvocati Baldassare Lauria e Alberto Stagno d’Alcontres, ha ottenuto una prima risposta interlocutoria in Europa. Il governo italiano deve fornire risposte e osservazioni entro il 13 novembre di quest’anno. Sono tutti quesiti che vanno dritto al cuore della legislazione antimafia in tema di misure di prevenzione.


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