La città che celebra il santo, il sangue che correva nelle vene di Padre Pino Puglisi, ha già dimenticato il santo, la speranza che corre nelle vene di Biagio Conte, lasciato solo, con la sua croce, sulla via della disperazione. Questa è Palermo. Finge pubblicamente di amare gli esempi e i valorosi a una condizione: che non respirino più.
Santo, Pino Puglisi, anche se appena beato nella gerarchia della Chiesa cattolica, santo perché buon pastore, perché controvento, ostinatamente contrario, con i fatti, alla direzione del male. Di quella santità che conduce al martirio e reca in eredità umanissimi miracoli. Santo, Biagio Conte, anche se nemmeno prete, fraticello laico, secondo la dicitura che ha superato l’imbarazzo dell’inquadramento. Biagio non ridà la strada agli storpi, né la vista ciechi. Ma il suo prodigio – con le missioni che oggi rischiano la chiusura – è visibile a occhio nudo, perfino agli sguardi che hanno scelto il pregiudizio: avere edificato un monumento alla solidarietà, in un tempo in un luogo nemici. L’orribile Palermo cosa sarebbe stata in peggio, senza i calzari dello spirito che l’ha attraversata con il suo saio verde e la sua passione profetica? E quanto è orribile questa Palermo che sa spendere pannicelli caldi, tavoli tecnici, generiche misure a sostegno, per la mediaticità, più che per la sostanza?
Nei confronti di entrambi, risplendono i brillantini dell’ipocrisia. Per Pino Puglisi, visto che il bollo ecclesiale lo consente, abbiamo imparato a sfoderare soprattutto preghiere tradizionali: facci guarire dalla malattia, o Beato, proteggi i tuoi figli, anche se si comportano male, concedi la grazia di sopravvivere sotto l’acquazzone. Don Pino è ormai quasi un supplente di Santa Rosalia, la Santuzza, la ragazza sul monte. Qualcosa o qualcuno da visitare occasionalmente, con ex voto molto precisi sulle richiese controfirmate in aspettativa. Qualcuno o qualcosa a cui domandare la necessità della salute e dei soldi, tralasciando il resto.
A lui, invece, dovremmo chiedere di spezzarci il cuore, di rivoltarci l’anima come un calzino, di non permetterci di sopportare oltre la bruttezza che ci assale, di fornirci gli attrezzi del coraggio e della rivoluzione per mutare il corso delle cose, di non essere quello che purtroppo siamo, pecore belanti. Ma tutto questa ignavia ci confonde perché la lezione del parroco di Brancaccio propone un duro praticato che, essenzialmente, consiste nel camminare per migliorare, per rendere diverso il piccolo mondo antico e putrefatto, per infondere una dolce ribellione ovunque e pagarne il prezzo. E Palermo non vuole cambiare. Il cambiamento è un trucco retorico, lo stratagemma di chi parla sempre di resurrezione, per nascondere una palmare incapacità di progetto.
Dai giorni delle stragi e forse anche da prima, auspichiamo il cambiamento e non siamo affatto cambiati. Abbiamo spudoratamente mentito sulle spoglie di Giovanni e Paolo, anche loro diversamente santi. Celebreremo il Beato Pino Puglisi con il rituale civile e religioso di prammatica, con il protocollo di ogni 15 settembre. Poi volgeremo il viso, abbandonando don Pino sulla sua strada incompresa.
Tuttavia, nel caso del martire di Brancaccio, c’è almeno un cadavere che, grazie alla liturgia epica e antimafiosa, autorizza una sacra e laica rappresentazione di pathos. I morti, con il loro linguaggio di verità, non danneggiano la consuetudine. Basta fingere di averli compresi nel giorno dell’anniversario e non ascoltarli mai più.
La verità di Fratel Biagio, invece, è ancora pericolosissima. Viene proclamata direttamente, senza mediazioni. Propone una via di cocci appuniti e sassi aguzzi. Obbliga alla riflessione, alla discesa agli inferi, nella sordità del cuore. Don Puglisi predicava la liberazione dalla mafia e dalla povertà, a Brancaccio, in una delle sedi sociali di entrambe le piovre. Biagio predica la liberazione dal bisogno come categoria totalizzante. Liberiamoci dal bisogno delle cose superflue. Aiutiamo, col ricavato, il bisogno di coloro che veramente soffrono, liberandoli.
E’ un’esplosione Palermo-centrica che allarga la sua onda d’urto altrove. Nell’universo del soldo e dello spread è un’eresia. Una bestemmia che proprio qui assume un carattere anarchico al massimo grado. Qui, dove si realizza alla perfezione un diagramma diffuso. Pochissimi ricchi, moltissimi schiavi. Biagio Conte ci chiede di spezzare le catene, per scelta e solidarietà, per convinzione, per missione. Chi potrebbe ascoltarlo, al riparo del suo benessere o dei suoi guai, senza tapparsi le orecchie con le mani? Chi potrebbe seguire davvero l’uomo che è salito in montagna, armato di una croce?
Insieme, Don Pino e Fratel Biagio sperimentano due diverse solitudini, due correlate incomprensioni. Il primo è, suo malgrado, la solitudine adornata di belle parole. Il secondo è, senza volerlo, il ritratto della solitudine cieca che nemmeno salva le forme. Entrambi sono vittime dello scempio a Palermo, la città che odia i suoi santi.