Fu mio padre a rubarmi il Palermo. Avevo dieci anni, mi regalò l’album delle figurine Panini. Per una personalissima associazione cromatica tra quello che avevo dentro e quello che c’era fuori, mi innamorai della Roma. Ma la controprova non c’è. Magari sarei diventato juventino e sarebbe stato peggio. Invece sono romanista, essere altro vorrebbe dire tradire i miei abbracci di figlio che ancora sopravvivono, in assenza del corpo da abbracciare.
Fu mio padre a farmi fare pace col Palermo, in due occasioni. Passeggiavamo per via dei Nebrodi, da una siepe sbucò un vecchio sorridente con i capelli candidi. Sembrava un grande gelsomino. Mio padre si inchinò. Mi stupì. Quel padre era un professore orgoglioso della propria superiorità culturale che sapeva spezzare, come il pane, per i poveri e rendere fiele contro gli arroganti. Oltretutto non si interessava di calcio, da catanese atipico. E’ che il gelsomino sorridente portava un nome incancellabile. Si chiamava Renzo Barbera. Meritava l’inchino.
Il secondo regalo fu generato da un evento triste: un lungo periodo di ricovero del professore che mi faceva da padre. Il mio prof di Lettere, suo collega e amico, mi condusse per mano allo stadio, per tirarmi un po’ su. Palermo-Trapani due a zero: D’Este, D’Este, se non ricordo male. Tra i granata, col numero otto, giocava un brasiliano: Pita. Racconto queste piccole cose per comunicare il mio travagliato, contraddittorio e ardente amore da clandestino giallorosso per la maglia rosanero. So che è un sentimento condiviso dai veri tifosi, più tifosi di me, in un momento brutto. Da coloro che si stringono alla loro passione, nel passaggio più difficile, perché sanno che l’entità di un legame non si misura con la vittoria o con la sconfitta. Brucia.
Palermo-Ajax quattro a zero, D’Este, D’Este, D’Este, Pocetta (questo lo ricordo). Il portiere olandese era Stanley Menzo. Il tapino Stanley venne preso in Menzo dagli schemi di Pino Caramanno, un maestro che per i feudalesimi del nostro calcio non si è mai esibito su un palcoscenico appropriato. Il pallone dei soldi non sopporta gli uomini dalla schiena dritta. Con Mister Pino avrei sorseggiato anni dopo un caffè tra gli alberi di Piana. Secondo lui – e ne era convinto – con la giusta tattica noi due insieme avremmo dato la paga a Cristiano Ronaldo. La perorazione fu tanto appassionata che convinse anche me. Il pomeriggio di Palermo-Ajax studiavo, non andai allo stadio. Studiavo matematica, per la precisione, una sublime materia che mi ha sempre fregato, anzi, fottuto la vita.
Quell’esercito di angeli dalla faccia sporca della C2 rappresentò il mito del riscatto, condensato nella famosa rovesciata di Santino Nuccio contro la Juve Stabia, mentre cadevano acqua e fango. Conservo altri due frammenti di amante clandestino: il gol di Ferrara in Palermo-Cesena con la temeraria discesa di Berti a metà campo, il gol di Vasari nella grandinata di Palermo-Pistoiese. Non sottovaluto un Palermo-Casarano con tripletta di Gaetano Musella (andavamo a Trapani e il Casarano schierava Navone, mezzo calvo regista di talento), né un antichissimo gol di De Biasi all’estremo respiro di Palermo-Campobasso. Ce ne accorgemmo in cucina, nello smaltimento del pranzo domenicale con digestivo e caffè, dalla voce di Luzzi esplosa nella radiolina gracchiante. In porta del nemico, l’immobile Walter Ciappi.
E venne la notte della promozione in A, alla Kalsa. Il maxi-schemo. Fotogrammi indelebili. Concettina, figlia del popolo, che arriva e non trova posto. La invitano a sedere su una poltroncina gentilmente offerta. Immediato il primo gol alla Triestina con cento persone che si alzano e fanno a gara affinché Concettina, per il bene comune, non resti più in piedi. Il calcio da cronista. Le interviste. Ogni calciatore mi incuteva e mi incute un timore reverenziale. Lo guardo con gli occhi di un bambino, mi appare più grande di me, perfino con dieci anni di meno. Il pallone rotola tra fiori e pozzanghere. Ti lascia appoggiata sull’anima una meraviglia di infanzia.
Poi, il mitico Palermo di Zamparini. Zauli che ricamava. Corini, ingegnere di centrocampo. La voglia di perfezione di Migliaccio. La finale di Roma contrabbandata come un inizio, ma già avvertivamo l’eco della fine. Lo scricchiolio che si allarga in crepa per concludersi in catastrofe. E adesso c’è questo presente miserabile di risultati, vivo d’amore. Se c’è una domenica (pardon, sabato) per amare è la prossima: Palermo-Roma. Forza Palermo. E tu che guardi le mie partite quotidiane tra pozzanghere e fiori dalla tribuna vip dei cieli, perdonami: non è tradimento. Scusami tanto, papà.