Palermo, il morto è "Cosa nostra" | La mafia vieta le agenzie funebri - Live Sicilia

Palermo, il morto è “Cosa nostra” | La mafia vieta le agenzie funebri

Silvio Guerrera

L'ex boss Silvio Guerrera (nella foto), adesso collaboratore di giustizia, mette a verbale le regole dettate dai clan a seconda del territorio. Ecco cosa ha raccontato agli investigatori.

PALERMO – Il morto è cosa loro. Anzi, Cosa nostra. E così l’apertura delle agenzie di pompe funebri deve essere autorizzata dai boss, secondo il rigido schema che segna i confini territoriali dei mandamenti.

Silvio Guerrera, reggente della famiglia di Tommaso Natale-Cardillo e oggi pentito, racconta il retroscena del mancato avvio di una nuova attività commerciale. Un avvio da lui stoppato nonostante il titolare vantasse delle amicizie importanti. E cioè quelle di Filippo Matassa e Luigi Siracusa: sono stati entrambi arrestati con Guerrera nel blitz Apocalisse. Il primo è il suocero di Vito Galatolo che, durante la sua assenza – il boss dell’Acquasanta, pure lui oggi è un collaboratore di giustizia, ha vissuto per un periodo a Mestre -, gli affidava la gestione degli affari. “Matassa Filippo e Siracusa Luigi – mette a verbale Guerrera il mese scorso – sponsorizzavano un ragazzo (a dire loro raccomandato da Viciuzzo Graziano) che doveva aprire una agenzia di pompe funebri a San Lorenzo, anche perché si trattava di zona che alcuni pensavano fosse del mandamento di Resuttana”.

E scattò prima il divieto: “Invece nella mia zona di Cardillo era prescritto da Cosa Nostra che non si aprissero pompe funebri”. E poi l’intimidazione: “… quando tale soggetto si permise di mettere una tabella-insegna che annunciava l’apertura di tale agenzia, io la feci incendiare da mio cugino Calvaruso Giuseppe”. Il tutto rispondeva a logiche di suddivisione territoriale: “Il limite è via Salvatore Aldisio, che è una via del mandamento di Resuttana e la traversa prima di tale via dove il soggetto voleva aprire l’agenzia era invece del mandamento di San Lorenzo”. Guerrera, che era reggente di Cardillo, una delle famiglie che fanno parte di San Lorenzo, confessa, tra le altre cose, di avere “ordinato l’incendio della tabella…”. Risultato: l’agenzia di pompe funebri non ha aperto.

Che ci sia la mafia dietro il racket del caro estinto è già emerso in inchieste, vecchie e recenti, con le infiltrazioni dentro gli ospedali per “accaparrarsi” le salme e il controllo delle sepolture nei cimiteri. Fino all’identificazione dei due ruoli – imprenditore del settore e boss – nella figura Alessandro D’Ambrogio, capomafia di Porta Nuova.


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