PALERMO – Giovane e potente. Depositario di tanti segreti perché ha vissuto una stagione di cui più di qualcosa ancora sfugge nonostante indagini e arresti. Capace di eclissarsi e di riapparire. La saga mafiosa di Antonio Lo Nigro, 42 anni, si arricchisce con l’arreso di ieri. Di nuovo in carcere, assieme ad altre trenta persone.
Chi è davvero Tonino Lo Nigro? Per rispondere si deve partire dal 2009. Giorno del suo predente arresto. Era latitante. La fonte confidenziale non si sbagliava. Il reggente della famiglia di Brancaccio si nascondeva a Bagheria. Lo scovarono all’interno di un elegante appartamento. Niente stalle o tuguri di campagna. Meglio una casa con tutti i comfort, in via Paterna, a pochi passi da corso Butera. In pieno centro. Negli ultimi tempi aveva stretto amicizia con l’anziano Pino Scaduto, boss di Bagheria, che aveva guidato al rifondazione della cupola di Cosa Nostra.
La fonte confidenziale non si sbagliava. I militari si erano travestiti da netturbini, clochard, persino da venditori ambulanti di carciofi. Via Paterna è una traversa stretta. Alla fine della stradina c’è un piccolo condominio. Da alcuni giorni si vedevano strani personaggi in zona. Tutte facce di Brancaccio. Gente che, all’apparenza, non aveva alcun motivo per trovarsi a Bagheria.
Gli occhi dei militari si erano concentrati su una ragazza bagherese di 29 anni, incensurata, con un matrimonio fallito alle spalle. Viveva con i genitori. Una famiglia per bene. Da alcuni giorni frequentava in maniera insolita il condominio di via Paterna. Vi arrivava quasi sempre con i sacchetti della spesa. Saliva e dopo pochi minuti tornava giù, a mani vuote. Una sera salì nella casa al secondo piano. Quando andò via la luce della finestra rimase accesa. Il palazzo fu circondato. La porta dell’appartamento sfondata.
Lo Nigrò si girò di scatto, lasciando cadere la cuffia con cui stava ascoltando della musica. Canzoni napoletane. Il cd di Tony Colombo stava ancora girando sul pc. Scherzi del destino. Era la stessa musica che Lo Nigro stava ascoltando nell’estate del 2008 quando riuscì a scappare mentre prendeva il sole in una spiaggia calabrese, a Siderno. “Mi chiamo Antonio Lo Nigro e non Antonino”, disse alzando le mani. Addosso aveva mille euro in contanti.
Giovane eppure figlio della vecchia mafia, quella da cui i nuovi boss volevano ripartire. Volevano, appunto. Perché poi arrivò il blitz Perseo di fine 2008. Cento persone in cella. Lo Nigro, però, era rimasto latitante. Pochi mesi dopo commise la leggerezza di recarsi con i suoi piedi in una delegazione comunale per farsi rilasciare un documento da presentare in un processo.
Era l’uomo di fiducia di Andrea Adamo, reggente di Brancaccio, arrestato insieme a Salvatore e Sandro Lo Piccolo, nel covo di Giardinello. Un personaggio emergente, con una rete di solidi legami familiari. Lo Nigro, infatti, è nipote di Piero e Francesco Lo Nigro, personaggi di spicco negli anni ’60 quando i soldi si facevano con il contrabbando di sigarette. Sua nonna è Agata Tagliavia, sorella di Pietro Tagliavia, boss storico della famiglia di Corso dei Mille che fa parte del mandamento di Brancaccio. Il cugino Cosimo, ergastolano, fu incaricato di procurare l’esplosivo per la strage di Capaci e fece parte del commando che uccise don Pino Puglisi.
Nel 2008 si rese protagonista di una al mare. Due carabinieri in borghese lo avevano fermato a Siderno, nella costa jonica reggina: se ne stava in spiaggia a prendere il sole in compagnia della fidanzata. Riuscì a scappare prima che arrivassero i rinforzi. E la fuga alimentò la leggenda attorno al suo personaggio. Gli era già andata bene nel ‘95 quando riuscì a sfuggire ai poliziotti.
Nel corso di un inseguimento per le strade della Guadagna gli spararono e lo ferirono di striscio. Qualche tempo prima era stato controllato a Roma durante un viaggio per incontrare Benedetto Graviano, fratello degli stragisti di Brancaccio. Niente, era sempre riuscito a farla franca, diventando un punto di riferimento per il quartiere. In un momento in cui i boss storici della zona, i Graviano e i Tagliavia, non avevano più riferimenti ecco che la figura di Lo Nigro veniva considerata determinante nello scacchiere di Cosa Nostra.
Anche perché il suo spessore era noto a tutti, persino ai boss del calibro di Nino Rotolo e Giovanni Nicchi che di lui parlavano così in una conversazione intercettata: “… oramai sta sistemando tutte cose quei fanghi, a Ciaculli è che non fanno entrare nessuno e sono due soli e un altro, là hanno messo il Lo Nigro”. Che si era fatto largo con il traffico di droga.
Niente più sigarette di contrabbando come facevano i suoi familiari negli anni Sessanta, ma fiumi di cocaina. Francesco Franzese, il primo dei pentiti che ha sgretolato il clan Lo Piccolo, lo definiva “uno dei più grossi trafficanti di droga… Sandro Lo Piccolo mi diceva che i Lo Nigro erano diventati ricchi con la cocaina insieme ai Tagliavia”.
Aggiunse che proprio Lo Nigro lo aveva condotto nel covo di Giardinello per incontrare Andrea Adamo, Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Parlarono di droga, naturalmente. In uno dei pizzini sequestrati ai Lo Piccolo al momento del loro arresto, datato 16 luglio 2007, Chiù Chiù, al secolo Andrea Gioé, parlava dei contrasti sorti nella famiglia di Monreale per la vicinanza di un affiliato a un’altra cosca, quella di corso dei Mille, guidata da Antonino Lo Nigro.
Perché Lo Nigro aveva nella nelle sue relazioni i suo punto di forza. Quando lo arrestarono a Bagheria aveva un braccialetto con il rosario al polso destro,e un Rolex da 5 mila euro nel sinistro. Ieri il nuovo arresto nel blitz di carabinieri e poliziotti della Mobile dopo che per due anni era rimasto agli arresti domiciliari per scontare una nuova condanna. Lo fermarono in macchina nei presi di Frosinone. Aveva violato la misura di prevenzione.
I pentiti Francesco Colletti di Villabate e Filippo Bisconti di Belmonte sono tornati a descrivere il suo ruolo nei traffici di droga. Nessuno come lui sarebbe in grado di fare giungere a Palermo chili e chili di cocaina. Nessuno come lui conosce gli ultimi segreti della stagione mafiosa dei Lo Piccolo, i cui soldi sono stati investiti chissà dove. Anzi, un altro c’è: Ferdinando Freddy Gallina, estradato dagli Stati Uniti e condannato all’ergastolo per tre omicidi.