Il conto delle spese di giustizia per il boss al 41 bis è salatissimo

Boss indigente al 41 bis: stop alla cartella esattoriale da 900mila euro

Cosa dice la Cassazione sul detenuto al carcere duro

PALERMO – La Cassazione dà ragione alla difesa. Si fa concreta la possibilità per Leonardo Vitale, detenuto al 41 bis, di non pagare 900 mila euro di spese di giustizia.

Vitale, 37 anni, figlio del capomafia di Partinico, l’ergastolano Vito, è detenuto nel carcere di Viterbo. Fra tre anni circa finirà di scontare un cumulo di pena di 20 anni. Ricevette dal padre il bastone del comando. In carcere si è anche laureato, tanto che viene descritto come un detenuto modello.

Spese di giustizia, conto salato

I processi hanno un costo che nel caso di Vitale jr è diventato un grosso debito con l’erario. Gli sono state notificate una serie di cartelle esattoriali. Da qui il ricorso davanti al magistrato di sorveglianza con il quale l’avvocato Francesca Vianello Accorretti ha chiesto la remissione del debito.

Vitale non ha i soldi per pagare. Il suo reddito si basa solo ed esclusivamente, come per altro accertato dalla finanza, sui soldi che guadagna con il lavoro in carcere. I detenuti al regime del carcere duro possono solo fare le pulizie e spingere il carrello con cui viene suddiviso il cibo.

Stipendio ai boss? Troppo generico

Il tribunale di Sorveglianza aveva detto no alle remissione, sottolineando che “è notorio che Cosa Nostra fornisce uno stipendio agli associati detenuti e garantisce ad essi i proventi delle attività illecite”. Motivazione troppo generica, secondo la Cassazione.

La prima sezione (presidente Monica Boni, relatore Giorgio Poscia) ha accolto il ricorso della difesa: “Bisogna indicare un concreto e specifico elemento a conferma del possesso di redditi sufficienti ad adempiere il suo debito verso l’erario”.

“Condizioni economiche disagiate”

I supremi giudici ricordano che “il requisito delle disagiate condizioni economiche è integrato non solo quando il soggetto si trovi in uno stato di assoluta indigenza, ma anche quando l’adempimento del debito comporti un serio e considerevole squilibrio del bilancio domestico tale da precludere il soddisfacimento di elementari esigenze vitali e compromettere quindi il recupero e il reinserimento sociale”.

Insomma la disponibilità economica non va presunta “ogni qualvolta il condannato sia stato ritenuto responsabile di un reato che abbia comportato il conseguimento di un profitto illecito, come elemento costitutivo del reato stesso”.

Il criterio di indigenza “si confronta con un criterio concreto ed effettivo di incapienza reddituale”. Ecco perché la Cassazione ha annullato l’ordinanza rinviando la valutazione sul detenuto al 41 bis ad un nuovo tribunale di Sorveglianza che però dovrà tenere conto dei paletti sanciti dalla Cassazione.


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