Mafia, ergastolano vince la causa: ha diritto alla pensione

Palermo, mafia: vince la causa, pensione per l’ergastolano

I soldi dell'indennità di accompagnamento gli servono per vivere. Bocciato un articolo della legge Fornero

PALERMO – Al boss ergastolano e pluriomicida di Brancaccio spetta la pensione di accompagnamento. La sezione Lavoro del tribunale di Palermo ha condannato l’Inps a pagare circa 40 mila euro di arretrati e a ripristinare l’assegno mensile di 500 euro. Accolta la tesi dell’avvocato Francesco Scjaino del foro di Termini Imerese.

La strada è stata tracciata pochi mesi fa da una sentenza della Corte Costituzionale, la 137 del 02 luglio 202, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 2, commi 58, 59, 60 e 61, della Legge Fornero.

Anche chi è stato condannato in via definitiva, per gravi reati ostativi, ma sta scontando una pena detentiva alternativa al carcere, deve continuare a percepire i trattamenti pensionistici o di assistenza.

La questione ruota attorno alla concessione o meno degli arresti domiciliari. Dal 2012 l’ergastolano ottantenne sta scontando la pena a casa per gravi motivi di salute. Il tribunale di sorveglianza di Palermo ha stabilito che le sue condizioni sono incompatibili con il carcere. Nel 2017 è arrivata la notifica da parte dell’Inps: in base alla legge Fornero non gli spettava più l’indennità di accompagnamento.

La Corte Costituzionale lo scorso luglio ha chiarito la questione: “La revoca dei trattamenti assistenziali può concretamente comportare il rischio che il condannato ammesso a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare o in altro regime alternativo alla detenzione in carcere, poiché non a carico dell’istituto carcerario, non disponga di sufficienti mezzi per la propria sussistenza. È pur vero che i condannati hanno gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della civile convivenza, tuttavia, attiene a questa stessa civile convivenza che ad essi siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere”.


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