PALERMO – Il padre, Francesco Mulè, respinge le accuse. Il figlio, Massimo, si avvale della facoltà di non rispondere. Interrogatori di garanzia per i nove fermati nel blitz dei carabinieri su ordine della procura di Palermo.
“Sono un pensionato, e mi occupo della mia famiglia”, non di mafia ma di sangue. L’anziano Mulè ha detto solo poche parole. Conosce gli altri indagati solo perché vivono nella stessa zona. E alcuni neppure sa chi siano. Nulla saprebbe di questioni mafiose. Secondo la Dda, al contrario, sarebbe tornato a ricoprire il ruolo di reggente della famiglia mafiosa di Palermo Centro dopo che la sua pena da ergastolo è stata commutata in 30 anni di carcere.
Gli avvocati Marco Clementi e Giovanni Castronovo hanno avanzato una richiesta di scarcerazione per motivi di salute. I legali hanno anche contestato il pericolo di fuga che sta alla base della richiesta di fermo.
Un pericolo che per l’accusa era concreto. I boss avrebbero potuto contare su diverse “talpe” da cui sarebbero stati messi al corrente degli imminenti blitz. Le gole profonde sarebbero “ignoti pubblici ufficiali”. Sia i Mulè che Gaetano Badalamenti (anche lui, assistito dall’avvocato Michele Giovinco, ha risposto per negare ogni accusa) avrebbero programmato la fuga.
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Giuseppe Mangiaracina, altro indagato, diceva di essere stato informato da qualcuno che “si è fermato qua, dice: ‘A Tonino su puortanu… il signor Franco (Mulè, ndr) pure… mirano a Massimo, a Massimo (Mulè, ndr)…”.
Mangiaracina contattò Mulè senior per dirgli che “c’è la settanta appattata… una grossa cugghiuta, vedi che aspettano… grossa” e l’altro chiedeva: “A Natale? Cu tu rissi? La devono fare alla Carini (la caserma dei carabinieri, ndr)?” A riferirglielo sarebbe stato “un ragazzo che quando lo sa lui è sempre 100 per 100, l’ho visto poco fa”.