PALERMO – Il giudice ammette le parti civili al processo che vede imputati trentuno commercianti accusati di favoreggiamento per avere negato di pagare il pizzo.
Entrano nel dibattimento il comitato Addiopizzo, la Federazione antiracket e lo Sportello di solidarietà attraverso gli avvocati Salvatore Caradonna, Ugo Forello e Valerio D’Antoni.
La polemica
La decisione potrebbe chiudere le polemica scoppiata nelle scorse settimane per la mancata costituzione di alcuni enti e associazioni, tra cui il Comune di Palermo o Confcommercio Palermo che ha ribadito la scelta di volersi costituire parte civile.
Una scelta, questa fu la risposta degli assenti, dovuta al fatto che nel capo di imputazione viene contestato il solo favoreggiamento che non legittimerebbe la costituzione, anche se eiste una giurisprudenza consolidata da cui emerge il contrario.
L’ordinanza
Ed è questo punto che ha spiegato nella sua ordinanza il Gup Stefania Brambille: seppure il reato di favoreggiamento non sia previsto tra i delitti per i quali i rispettivi scopi sociali statutari prevedono la costituzione di parte civile da parte delle associazioni, il collegamento delle condotte di favoreggiamento al reato di associazione mafiosa produce astrattamente un danno alle associazioni stesse e per questo sono legittimati a costituirsi.
Un danno che deriva dalla tutela degli interessi della collettività. Quindi è irrilevante legare la legittimazione all’esistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Adesso anche gli altri enti avranno tempo e modo di costituirsi.
Il “silenzio” degli imputati
Il blitz svelò il silenzio dei commercianti di Brancaccio. Convocati dai poliziotti della squadra mobile negarono di avere pagato la tassa mafia. Lo avrebbero fatto per paura, ma anche per connivenza e convenienza.
Questi i nomi degli imputati: Giampiero Cannella (amministratore della 3D srl), Ignazio Marciante (amministratore della Trinacria Gas sas), Giulio Matranga (gestore della macelleria “La fantasia della carne”), Bernardo e Salvatore Martino (titolari della rivendita di alimentari “Salumi e carni”), Alessandro Tinnirello (titolare del negozio “Polli alla brace”), Giuseppe Airò (gestore del “Night life”), Deborah Polito (titolare di dell’impresa “Animal shopping”), Paolo Vaccarella (titolare di “Paolo bar”), Giovanni Visconti (fino al gennaio 2020 amministratore della società “Nova recicling metalli srl), Maria Prestigiacomo (titolare della “Pizzeria al Galeone”), Rosario Messina (titolare del bar tabacchi Messina), Antonino e Girolamo Giacalone (rispettivamente dipendente e titolare della “Giacalone mobili”), Antonio Pellegrino (titolare della “Autoricambi express”), Fabrizio Aruta (titolare dell’officina “A.F. Gomme”), Rosario Carmelo Fulvo (titolare della “Autofficina meccanica fratelli Fulvo Rosario e Giuseppe”), Carlo Brancato (titolare di fatto del panificio-gastronomia-pizzeria “Signor Carlo Brancato Pietro”).
Ed ancora: Cristian Onofrio Biancucci (titolare della “Elio Salumi”), Giovanni Nuccio (gestore della macelleria “I piaceri della carne di Mangiapane Maria”), Giuseppe Lo Negro (titolare della ditta che si occupa della produzione e vendita d’asporto di frattaglie), Salvatore Meli (titolare del bar Tiffany), Antonio Rispetta (socio ed amministratore della ditta di trasporto merci “L.T.R. srl”), Salvatore Giardina (titolare del panificio di via Messina Marine 611), Francesco Sparacello (titolare dell’omonima macelleria), Vincenzo Sinagra (socio unico ed amministratore della “Euro casa Sinagra srl”), Giacomo Pampillonia (gestore di una rivendita abusiva di carni e frattaglie), Giovan Battista Caruso (gestore della “G&G Coffee” di Caruso Vincenzo Ronny), Mercurio Sardina (gestore del bar Ambra dal dicembre 2019), Tommaso Calabria (titolare e gestore del bar Ambra fino al dicembre 2019), Emanuele Pietro Binario (titolare del Bar dei Paletti).
Contestata una nuova aggravante
Per tutti la posizione processuale si è complicata. I pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli hanno contestato agli imputati l’aggravante prevista dall’articolo 384 ter del codice penale che scatta quando, negando il pizzo, si “ostacola” un’indagine di mafia.