PALERMO – No al sequestro del patrimonio di Marcello Dell’Utri. La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo ha respinto la richiesta della Procura di Palermo. Il provvedimento è di inizio estate, ma Livesicilia lo ha appreso in queste ore.
I pubblici ministeri hanno fatto ricorso in appello contro la decisione del collegio presieduto da Raffaele Malizia. Il processo di secondo grado è ancora in corso. Dell’Utri è difeso dagli avvocati Francesco Centonze e Francesco Bertorotta.
L’inchiesta patrimoniale è iniziata nel 2014 poco prima che diventasse definitiva la condanna a sette anni di reclusione, già scontata, di Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex senatore di Forza Italia e manager di Pubblitalia, così hanno scritto i giudici, è stato il “mediatore contrattuale” di un patto tra Cosa Nostra e Silvio Berlusconi.
Tra il 1974 e il 1992 “non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti”, e “ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento”.
“In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) – si leggeva nelle 470 pagine delle motivazioni del processo di appello depositate nel 2013 – (Dell’Utri ndr) ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione”.
Nel 1994 la Dia ha iniziato a fare lo screening del patrimonio milionario di Dell’Utri. Un tesoro composto da ville, appartamenti, azioni, conti correnti per un valore di centinaia di milioni di euro.
La Procura di Palermo ha chiesto il sequestro dell’intero patrimonio accumulato, secondo l’accusa, in maniera illecita nel contesto del rapporto che Dell’Utri ha avuto con Berlusconi nel corso della sua vita.
Tra i beni di cui era stato chiesto il sequestro per la successiva confisca sulla base delle misure patrimoniali previste per i condannati per reati di mafia c’era anche una grande villa a Torno, venduta in all’amico Silvio Berlusconi: secondo i pm era stata pagata 10 milioni più del prezzo di mercato.
Ma sono soprattutto i prestiti infruttiferi, i bonifici e le donazioni di Berlusconi in favore della famiglia Dell’Utri ad avere destato i maggiori sospetti. Un flusso di denaro continuo indicato dagli investigatori in oltre 20 milioni di euro. Viene addirittura ipotizzato che si sia trattato di un ricatto da parte di Dell’Utri nei confronti del Cavaliere. L’ex senatore avrebbe custodito informazioni sul ruolo della mafia nell’attività imprenditoriale di Berlusconi e in quella politica.
Una ricostruzione bocciata dai giudici e mai emersa nel corso dei procedimenti penali in cui Dell’Utri è stato imputato. Neppure emerge, però, la liceità degli stessi flussi di denaro.
I flussi ci sono stati. Non si può sostenere con certezza che rappresentino frutto di estorsione oppure di pagamenti per nascondere chissà quali interessi illeciti.
Ed ecco la considerazione finale a cui giungono i giudici. Il passaggio di denaro potrebbe essere giustificato dai rapporti di amicizia e di lavoro che hanno unito per decenni Berlusconi a Dell’Utri. È una spiegazione alternativa, ma parimenti plausibile.
I pm nella loro ricostruzione non hanno raggiunto il sufficiente conforto probatorio.
Il collegio delle Misure di prevenzione non ha così accolto la ricostruzione della Procura di Palermo, che ha però deciso di fare ricorso in appello.
È di oggi la notizia che la Procura generale ha fatto ricorso contro la sentenza che ha assolto Dell’Utri (condannato a 12 anni in primo grado) nel processo sulla trattativa Stato-mafia.