PALERMO – Mauro De Mauro finisce il suo turno di lavoro al giornale L’Ora. È la sera del 16 settembre del 1970. Il giornalista si mette al volante della sua Bmw. Lungo il tragitto verso casa si ferma in un bar. Beve un Fernet, compra le sigarette e una bottiglia di vino francese.
In casa De Mauro è tempo di fare festa. La figlia Franca lo attende a casa con il fidanzato Salvo. Fra due giorni si sposano. Franca è affacciata alla finestra. Vede il padre risalire in auto. Non è più solo. Ci sono tre uomini. Sente gridare “Amunì”, andiamo. Sono le 21. Ed è l’ultima volta che qualcuno vede De Mauro. La sua Bmw viene ritrovata alle 22 dell’indomani, in via Pietro D’Asero.
È passato più mezzo secolo. Il ritrovamento di un uomo in una grotta sull’Etna riaccende la speranza nei familiari di ritrovare le spoglie davanti alle quali raccogliersi in preghiera. Una speranza, nulla di più al momento, a cui si aggrappa la figlia Franca che chiede ai finanzieri di verificare anche la possibilità che l’uomo nella grotta sia il padre. Accanto al corpo nella grotta sono stati trovati la copia di un giornale del 1977 e alcune monete databili 1977-1978, dunque successive ala scomparsa di De Mauro.
Per la morte di Mauro De Mauro non c’è un colpevole. Nel 2015 è diventata definitiva l’assoluzione di Totò Riina, unico imputato chiamato a rispondere dell’omicidio. La storia di De Mauro si intreccia con la morte del presidente dell’Eni, avvenuta con lo schianto nei pressi di Pavia dell’aereo all’interno del quale viaggiava il 27 ottobre 1962, e con il Golpe Borghese che sarebbe dovuto avvenire nella notte dell’8 dicembre del 1970, organizzato dall’ex comandante Junio Valerio Borghese.
Il regista Francesco Rosi aveva affidato a De Mauro la stesura della sceneggiatura di un film su Mattei. La Cassazione, che rese definitiva l’assoluzione di Riina, mise comunque dei punti fermi. Il “lungo, complesso e approfondito iter processuale ha consentito di accertare che l’omicidio del giornalista Mauro De Mauro fu deciso ed eseguito da uomini di Cosa nostra”, scrivevano i supremi giudici, e che la “relativa causale è individuabile nelle informazioni riservate di cui la vittima era entrata in possesso in relazione alla sua attività professionale, verosimilmente, anche se non certamente, riconducibili, secondo le risultanze del processo di merito, al coinvolgimento di esponenti mafiosi nella morte di Enrico Mattei, più che nella vicenda relativa al tentativo di golpe cosiddetto Borghese”.
A pesare sull’assoluzione di Riina fu l’inaffidabilità delle dichiarazioni rese in appello dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo. Ad un certo punto, e fuori tempo massimo, Di Carlo tirò fuori un “episodio inedito” e di “dirompente novità”.
Si ricordò di essere stato presente, e di avere origliato da dietro una porta, all’incontro nel quale Riina decise di far uccidere De Mauro dopo che Stefano Bontate gli raccontò che dai servizi segreti, a Roma, era arrivato l’ordine “di impedire che fossero divulgate” le informazioni in possesso del giornalista sull’imminente golpe Borghese.