Palermo, è morto l'ex senatore Vincenzo Inzerillo. I boss intercettati

La morte dell’ex senatore Inzerillo e le lacrime per i nuovi sospetti

Di lui parlavano alcuni arrestati per mafia a Pagliarelli

PALERMO – La morte risale a 12 dicembre scorso. L’ex senatore Vincenzo Inzerillo è deceduto all’età di 77 anni.

Di lui parlavano alcuni arrestati dell’ultimo blitz antimafia a Pagliarelli. Uno in particolare, Paolo Di Blasi, che fino al suo arrestato era un ex dipendente settantenne dell’Amap sconosciuto alle cronache giudiziarie. Ed invece sarebbe stato uno dei fedelissimi di Giuseppe Cappello, quasi novantenne mafioso di Pagliarelli.

“Inzerillo mi ha chiamato”

Di Blasi raccontava di avere incontrato l’ex senatore democristiano Inzerillo, ex vicesindaco di Palermo e assessore nelle giunte comunali della “Primavera” di Leoluca Orlando, già condannato a cinque anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa.

La commissione antimafia

Qualcosa toglieva il sonno a Inzerillo che era addirittura scoppiato in lacrime. Così raccontava Di Blasi: “… mi chiamò… ci dobbiamo vedere cinque minuti… dice c’è la commissione antimafia che è sopra di noi… due avvocati di Borsellino lo stanno mettendo sotto torchio perché la vogliono sentire”. Il riferimento era probabilmente alle parole dell’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, fratello del magistrato assassinato nel ’92. Si era parlato di un possibile legame, mai riscontrato, fra Inzerillo e il tentato omicidio del commissario Rino Germanà.

A differenza di quanto raccontava Di Blasi era lo stesso Inzerillo ad avere chiesto di essere ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia per ribadire la sua estraneità al caso Germanà.

L’agguato a Germanà

Un commando composto da Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano entrò in azione il 14 settembre 1992 sul lungomare “Fata Morgana” a Mazara del Vallo. Usarono i kalashnikov. Germanà rispose al fuoco, si tuffò in mare e riuscì a sfuggire all’agguato. Per queste vicende Inzerillo fu assolto e riteneva di essere vittima di un ingiusto accanimento per cose che non aveva fatto e dalle quali era stato scagionato.

Chi escludeva un coinvolgimento di Inzerillo nel tentato omicidio era lo stesso Giuseppe Cappello, che sul punto era tranciante: “Sono minchiate”.

“Enzo è morto”

Il giorno della morte Di Blasì avvertì Capello: “Enzo è morto”. E l’anziano mafioso, dispiaciuto per la notizia, ricordava un episodio del passato: “… in galera si è comportato bene... non ha parlato non ha detto niente”. Avevano condiviso il processo: “… il tempo che lo saluto… quali sono le tue intenzioni… mi ha detto stai tranquillo da qua voglio uscire a testa alta mi devo andare a godere i miei figli”.

La seconda persona che Paolo Di Blasi avvertì fu il cugino Rosario Marchese, patron del caffè Stagnitta, condannato per mafia ai tempi del maxiprocesso. Il cognome di Marchese, non indagato, è saltato fuori anche nell’inchiesta sulla mafia del rione Uditore. Aveva incontrato un vecchio amico, il boss Franco Bonura, nella speranza che potesse aiutarlo nella contesa per l’eredità della suocera, la fotografa Letizia Battaglia (archivio fotografico incluso).

Di Blasi e Marchese andarono insieme al funerale celebrato nella chiesa del cimitero di Sant’Orsola. Durante il tragitto discutevano di Giuseppe Cappello, l’anziano boss che avrebbe guidato la famiglia mafiosa di Borgo Molara.


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