Bellezze nascoste |al Museo Salinas - Live Sicilia

Bellezze nascoste |al Museo Salinas

Una vera e propria riscoperta.

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Palermo, 1823: le autorità regie bloccano una spedizione per il British Museum. Se ciò non fosse avvenuto, oggi dovremmo andare a Londra per ammirare le monumentali metope del Tempio C dell’acropoli di Selinunte, che oggi affascinano il pubblico al Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas del capoluogo. Questi altorilievi con celebri episodi mitologici scolpiti nel calcare locale rappresentano uno dei massimi esempi dell’arte figurativa della Grecia d’Occidente scoperti da due giovani architetti britannici, William Harris e Samuel Angell. Sono tra i reperti più importanti custoditi nel museo palermitano e ne costituiscono il nucleo fondante.

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Le sale al piano terra sono state riaperte a fine luglio di quest’anno, dopo oltre quattro anni di lavori. Il museo è ancora in attesa delle risorse necessarie per il completamento dell’allestimento museografico degli spazi espositivi del primo e del secondo piano, inserite dall’Assessorato ai Beni Culturali all’interno del Patto per la Sicilia. Per l’inaugurazione del terzo cortile del piano terra – luogo polivalente che diventerà la nuova “agorà” del museo – dove saranno allestite le grondaie a teste leonine del tempio della Vittoria di Himera e la grande maschera gorgonica del Tempio C di Selinunte, si dovrà attendere i primi mesi dell’anno prossimo.

In questo spazio verrà realizzato un intervento artistico su scala urbana, “La Via di Merz”, luogo di incontro tra l’antico e il contemporaneo, con l’installazione di opere d’arte selezionate dalla Fondazione Mario Merz di Torino, collocate sia all’interno del terzo cortile che all’esterno in via Bara all’Olivella, collegando il museo con Palazzo Branciforte, sede della Fondazione Sicilia, partner del progetto.

Per tutto il mese di novembre, prosegue l’apertura gratuita e le sale del museo sono state visitate da oltre 28.000 persone nei primi tre mesi di riapertura. Un successo decretato non solo dall’eccezionalità del luogo e del suo contenuto ma anche da una campagna di comunicazione sviluppata per oltre due anni, dal titolo, “Chiusi per restauro, aperti per vocazione”. Sono stati utilizzati sapientemente i social network, con approfondimenti mirati su alcuni dei singoli reperti del museo, attraverso un fitto calendario di seminari, convegni, incontri e mostre temporanee realizzate in quattro sale accessibili anche a cantiere aperto. Una strategia vincente ideata dal direttore del Museo, l’archeologa Francesca Spatafora, e dal social media strategist Sandro Garrubbo, che ha creato aspettativa e coinvolgimento del pubblico attraverso il racconto di una storia condivisa (utilizzando l’hashtag #lestoriedituttinoi), che ha suscitato il seguente commento sulla pagina facebook dell’istituzione: “caro museo Salinas, con tutti questi bei post che scrivi mi stai facendo venire tanta voglia di venire a vederti! E pensare che quando eri aperto ti ho così a lungo ignorato!”.

La nuova esposizione offre al pubblico oltre 2000 tra opere e reperti, collocati nei due splendidi chiostri e negli spazi circostanti del seicentesco complesso dei Padri Filippini all’Olivella, sede del museo da oltre centocinquant’anni. Il riallestimento è frutto non solo dei lavori di ampliamento e adeguamento del museo ma anche dei risultati emersi dalla ricerca scientifica. La nuova collocazione delle opere è stata definita grazie all’apporto di un Comitato Scientifico composto da diversi studiosi di istituzioni italiane e straniere (come Clemente Marconi della New York University e Dieter Mertens dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma) e di un ampio programma di restauri di opere conservate nei magazzini del museo.

Tutta l’area orientale dell’edificio è dedicata sempre a Selinunte, la più occidentale delle colonie greche di Sicilia, con diversi reperti inediti e rari, come alcune membrature appartenute allo straordinario tetto marmoreo del Tempio A. Si tratta di otto sale, la più grande era l’ex refettorio della congregazione dedicata a San Filippo Neri, in cui – per la prima volta – i reperti selinuntini non sono isolati nella loro bellezza ma contestualizzati all’interno di un percorso di visita che restituisce al fruitore la complessità di Selinunte: i culti, l’architettura, l’ideologia funeraria e la vita della città dopo la distruzione del 409 a.C. da parte dei Cartaginesi guidati da Annibale. Tra i reperti più interessanti, le defixiones: lamine di piombo ripiegate sulle quali sono incise maledizioni contro coloro con i quali si era in conflitto, invocando gli dei dalla propria parte (vera pratica di magia nera).

Una delle novità più importanti del nuovo percorso museografico è la sala dedicata al santuario di Demetra Malophoros, dove sono esposti i votivi – vasi, statuette, armi, ami da pesca, attrezzi agricoli – offerti ad una delle divinità più adorate nell’Isola, dal cui favore dipendevano i raccolti e, quindi, la sopravvivenza. Dalla quantità di materiale archeologico rinvenuto dedicato alla Dea della fertilità della terra si comprende come gli antichi abitanti di Sicilia non davano per scontato la fecondità dei terreni ed erano consapevoli dell’imprevedibilità degli elementi.

Il percorso continua lungo la corsia settentrionale del Chiostro Maggiore con importanti opere quali i famosi sarcofagi antropoidi ritrovati nella zona della Cannita (Misilmeri), risalenti alla dominazione fenicia di Palermo, e la statua colossale di Zeus da Solunto, restaurata e rielaborata da Valerio Villareale nel 1820, quando la collezione archeologica era proprietà del Regio Museo dell’Università. Tra i numerosi reperti archeologici entrati a far parte della collezione nell’Ottocento, provenienti da acquisizioni di raccolte pubbliche e private e non solo dagli importanti scavi locali, ne vanno menzionati alcuni che oggi caratterizzano il museo, raccontando il più ampio contesto della nascita della cultura mediterranea. Tra questi, un frammento del fregio orientale del Partenone acquistato da Robert Fagan (tipica figura di artista-avventuriero inglese che nell’Ottocento riuscì a farsi nominare console generale in Sicilia), la collezione Casuccini (una delle più importanti d’Italia dedicate all’arte etrusca) e la pietra di Palermo donata al museo alla fine dell’Ottocento dal collezionista Ferdinando Gaudiano. Quest’ultima, esposta in una sezione dedicata alle epigrafi, è un frammento straordinario di una larga stele egizia del II millennio a.C. in basalto nero iscritta con geroglifici su ambedue le facce, fondamentale per la ricostruzione della storia più antica dell’Egitto.

Il team di archeologhe funzionarie del Salinas – Alessandra Merra, Elena Pezzini, Costanza Polizzi, Sandra Ruvitoso e Giuliana Sarà – insieme all’antropologa Vittoria Schimmenti e coordinate dall’etnoantropologa Emanuela Palmisano, hanno realizzato il progetto di museo-scuola, intuizione del celebre archeologo, a cui è dedicata l’istituzione da Lui diretta per quarant’anni fino alla morte avvenuta nel 1914. E’ l’idea di un museo vivo, che oggi appartiene alla comunità, dove gli studenti fanno a gara per scoprire i particolari delle opere d’arte, divisi in squadre, e gli alunni più grandi impersonano i testi di Esiodo in quella “lingua geniale”, come viene definita da Andrea Marcolongo nel suo omonimo bestseller, perché: “è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione; e della nostra epoca”, citando Virginia Woolf.

 

 

 

 


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