Palermo, omicidio Di Giacomo: "L'assassino e le frasi in carcere"

Palermo, omicidio Di Giacomo: “L’assassino e le frasi in carcere”

Dettagli inediti. A pesare sono soprattutto le dichiarazioni di un pentito

PALERMO – Sono le dichiarazioni di Alessio Puccio a pesare come un macigno sulla posizione di Onofrio Lipari, arrestato per l’omicidio del boss Giuseppe Di Giacomo. Lo avrebbe ucciso con il più terribile dei voltafaccia visto che, ha dichiarato egli stesso nel corso dell’interrogatorio di garanzia, “per me era come un padre”.

Cosa dice il Riesame

Le motivazione con cui il Tribunale del Riesame nelle scorse settimane ha respinto l’istanza di scarcerazione di Lipari svela particolari inediti. Puccio, picciotto della manovalanza di Cosa Nostra che si è pentito quando ha temuto di essere ammazzato, ha riferito che durante un periodo di comune detenzione nel carcere Pagliarelli, nel 2014, aveva appreso da Fabio Pispicia che “Tony” Lipari era stato l’esecutore materiale dell’omicidio. Il mandante sarebbe stato il cognato Tommaso Lo Presti che avrebbe chiesto a Pispicia di distruggere lo scooter con cui Lipari aveva inseguito la vittima e la pistola da cui partirono i colpi mortali. Lo Presti è indagato a piede libero: nel suo caso non sono stati trovati i riscontri necessari.

Il pentito è credibile

Le dichiarazioni di Puccio sono ritenute “intrinsecamente coerenti ed abbastanza dettagliate, anche sotto il profilo temporale”. Fabio Pispicia era finito in carcere quando lo fermarono, non lontano dalla stazione Notarbartolo, assieme a Sergio Giacalone. In macchina avevano una pistola. Pispicia avrebbe svelato a Puccio il movente del delitto: “Era da ricondursi agli assetti interni al mandamento di Porta Nuova e al contegno eccessivamente autoritario di Di Giacomo”. Era diventato “troppo assoluto… si sentiva troppo onnipotente”. Aveva litigato con Lo Presti e lo aveva addirittura preso a schiaffi.

Il racconto ha trovato riscontro, secondo il Riesame, in alcune intercettazioni del 2021: “La riferibilità al Lipari dell’omicidio dell’allora reggente mafioso Di Giacomo costituiva ormai un dato di comune conoscenza nel contesto ambientale del mandamento di Porta Nuova”. In una conversazione fra Antonino D’Alba, Alfonso e Vincenzo Di Cara, e Salvatore Messina – tuttu del rione Zisa – emergeva che Di Giacomo avrebbe commissionato un atto intimidatorio a colpi d’arma da fuoco contro la macchina della della sorella di Lo Presti.

Messina in particolare sosteneva che “se vanno a prendere queste intercettazioni e a questi gli mettono…
gli accollano una cosa di queste, questi non escono più. Ed io per te ho perso la libertà”. Lipari come prova a sua discolpa ha sostenuto che si trovasse in via Regina Bianca pochi minuti dopo l’agguato avvenuto in via Eugenio l’Emiro. Circostanza confermata da un’intercettazione. In realtà, secondo gli investigatori, per coprire il percorso gli sarebbero stati sufficienti tra i 59 secondi e i 3 minuti e 37 secondi. Quindi è ipotizzabile che abbia fatto fuoco e poi si sia spostato.

Il caso dell’intercettazione

Onofrio Lipari è rimasto in carcere per l’omicidio Di Giacomo nonostante sia caduta una delle intercettazioni chiave dell’inchiesta. La frase è stata trascritta nei brogliacci delle intercettazioni degli investigatori, ma non è stata pronunciata. A scoprirlo sono stati gli avvocati di Lipari, Michele Giovinco e Angelo Formuso, e la Procura lo ha confermato.

La storia d’amore fra la nipote del presunto assassino e il figlio della vittima veniva osteggiata. Il padre, la madre e il fratello di Lipari sono stati intercettati mentre parlavano dei fidanzati. “E vabbè e se si vogliono bene, che fa che se ne scappano?… che meglio è?”, diceva la donna. “Perché a quello non l’ammazzò Tony?… u capsti c’ammazzò Toni? (lo hai capito che lo ha ammazzato Tony?)”, avrebbe aggiunto il fratello.

Sembrava una sorte di confessione seppure indiretta, ma riascoltando la conversazione la frase non si sente.


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