Palermo, nuovo pentito a Porta Nuova: "Volevano uccidermi, vi dico tutto"

Palermo, nuovo pentito a Porta Nuova: “Volevano uccidermi”

Ecco i primi verbali del soldato specializzato in furti e rapine

PALERMO – C’è un nuovo pentito a Porta Nuova. Si tratta di Alessio Puccio. Fa parte della manovalanza di Cosa Nostra. Dice di essere un “soldato” della famiglia mafiosa. Ha temuto di essere ammazzato. Prima è fuggito in Germania, poi ha saltato il fosso. Il suo percorso di collaborazione è ancora all’inizio, ma le dichiarazioni sono già servite a puntellare l’ordinanza di custodia cautelare sugli affari dell’oro.

Rapine e furti sono stati per anni il suo pane quotidiano. Puccio racconta di averne commesso centinaia agli ordini di Cosa Nostra. Le sue dichiarazioni vengono giudicate genuine, attendibili e riscontrate. La scintilla della sua collaborazione scatta dopo un furto. Decide di rubare una parte del bottino ed arrivano le ritorsioni della famiglia mafiosa.

Si pente e racconta quali sono le regole imposte dai boss di Porta Nuova, che impongono una tassa. Ecco cosa mette a verbale: “Posso parlare per Porta Nuova: noi siamo soldati che si occupano di furti, rapine e pestaggi. Tutti quelli che il mandamento autorizza a rubare devono andare da omissis Vincenzo per vendere. Altri mandamenti si possono rivolgere ad altre persone di fiducia di loro. Questo me lo disse inizialmente Onofrio Lipari, poi Gaspare Rizzuto, Giuseppe Incontrera, Tommaso Lo Presti, Pietro Lo Presti. L’organizzazione ha l’interesse che noi soldati andiamo da loro perché c’è sempre un profitto per Porta Nuova. Il lavoro che fanno loro è tassato da Porta Nuova”.

Sono cognomi che contano a Porta Nuova e non sono gli unici messi a verbale. Non era solo paura, Puccio ha davvero rischiato grosso: “Inizialmente mi sono allontanato da Palermo per avere avuto discorsi con persone appartenenti al mandamento. Dopo una colluttazione c’è stata una sparatoria. Sono riuscito a scappare e mi sono confidato con i miei parenti più stretti. Quando sono andato in Germania ho lavorato e mi sono sistemato. Ho capito di avere buttato la mia vita per niente. Guadagnavo poco ma stavo bene. Mi sono giocato la gioventù e voglio sistemarmi ed avere una vita tranquilla e serena. Non voglio più avere a che fare con giustizia”.

Il colpo era stato fruttuoso. Trecento mila euro di bottino. Non lo avrebbe commesso da solo, ma con “Barone Daniele, Sciacchitano Vincenzo e Antonino Reina. Abbiamo deciso di non dire a Giuseppe Di Giovanni e Giuseppe Incontrera quanto avevamo preso, ossia 300 mila euro . aggiunge il nuovo pentito -. Poi tutto è uscito fuori ed è scattata una forma di ripicca verso di me perché ero il responsabile di questo gruppo per il mandamento. In questo momento il responsabile del danno ero io. Hanno pensato che lo avessi fatto altre volte nei dieci anni precedenti”.

Per i suoi complici arrivò una punizione corporale: “Barone Sciacchitano e Reina sono stati picchiati anche pesantemente. Invece con me c’era stato solo un rapporto verbale in cui mi dicevano di aspettare per farmi sapere”.

Poi le cose precipitano: “Di pomeriggio ho avuto una colluttazione con Cosimo Filippone e Davide, mariti delle figlie di Gregorio Di Giovanni (e cioè il capomafia che ha rappresentato Porta Nuova nella riunione della cupola del maggio 2018). Mi rimproveravano di fare di testa mia e di non dire le vere cifre. Gli è scappato un colpo e sono scappato”.

Non è finita: “Di sera mi hanno cercato a casa e sapevano che ero sorvegliato speciale e non potevo uscire. Mi dissero che non mi sarebbe successo niente e mi dicevano che mi volevano parlare Pietro Lo Presti, Tommaso Lo Presti e Giuseppe Autieri. Consigliavano di dare 2000 euro per fare un regalo e per fare capire che non avevo niente da nascondere. Dissi va bene. Gli dissi se volevano un caffè e mi allontanai. Mia madre sentì che commentarono dicendo che molto probabilmente sarei stato ucciso il giorno dopo. Allora ho deciso di andarmene e di scappare“. Ed è diventato un nuovo pentito.


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